dopo la wagner

Il funerale mercenario di Prigozhin

La sepoltura con quaranta dei suoi uomini, la madre e una poesia

Micol Flammini

Lo spettacolo inevitabile è stato diviso tra messa in scena e realtà, tutto concentrato in un cimitero di San Pietroburgo. Poi alla tomba del capo della Wagner è arrivata la polizia e davanti all’ingresso sono stati installati dei metal detector

C’è stata una cerimonia da messa in scena, poi la cerimonia vera. Il funerale di Evgeni Prigozhin si è diviso in due, tra finzione e realtà. La finzione era per attrarre i curiosi, per disperdere l’attenzione di chi ci teneva a salutare il capo dei mercenari, ma della cerimonia aveva soltanto le fattezze esterne, non c’erano corpi, non c’erano riti, c’erano soltanto i catafalchi vuoti diretti verso il centro di San Pietroburgo, nelle sale del Maneggio. Nei canali telegram vicini alla Wagner nessuno credeva che si trattasse del vero funerale di Prigozhin o degli altri passeggeri dell’aereo privato che si è schiantato il 23 agosto scorso. Alla finzione si sono aggiunti i nomi dei presunti cimiteri, la ricerca del dettaglio che avrebbe potuto portare al giusto luogo di sepoltura. Alla fine è arrivata la realtà, quella che nessuno aveva indovinato. Il funerale e la sepoltura si sono svolti in un unico luogo, il cimitero Porokhovski, che prende il nome da una fabbrica di polvere da sparo che Pietro I fece costruire vicino alla terra consacrata. E’ stato il servizio stampa di Prigozhin a dare la notizia, a sottolineare che la cerimonia si è svolta a porte chiuse, ma poi chiunque vorrà potrà andare a omaggiare il capo dei mercenari. Non c’erano autorità, e nessuno si aspettava la loro presenza. Il territorio del Porokhovski è in alcuni tratti impervio, fatto di stradine strette, il carro funebre è arrivato fino a metà strada, poi sono stati gli uomini della Wagner a portare la bara fino al luogo di sepoltura. Erano in quaranta, con loro c’era la madre di Prigozhin, Violetta Prigozhina, alla quale il capo dei mercenari aveva intestato anche alcune delle sue società. Il Porokhovski è un cimitero antico, anche il padre di Prigozhin è sepolto lì, accanto al figlio. Le autorità volevano oscurare il funerale, fare in modo che la tomba non si tramutasse in un luogo di culto per tutti quei cittadini che in questi giorni si sono radunati attorno ai memoriali  spuntati per le città della Russia. Subito dopo la sepoltura, al cimitero è arrivata la polizia, davanti all’ingresso sono stati installati dei metal detector, bizzarri per una struttura così antica dall’apparenza abbandonata. L’intenzione sembra essere quella di impedire che qualcuno si avvicini e gli agenti si sono disposti tutti attorno alla tomba. Per le autorità adesso l’obiettivo è far dimenticare il capo dei mercenari, e soprattutto  il suo luogo di sepoltura. Contano sul fatto che la Wagner è senza capi, Prigozhin non è riuscito a mettere in salvo i suoi affari prima dell’esplosione dell’aereo e il suo ultimo tour africano era dedicato proprio a questo. 


La Wagner non doveva avere un volto, doveva rimanere una forza temuta e anonima e nell’anonimato è rimasta gran parte degli altri comandanti i quali  gestiscono le forze dei combattenti tra il medio oriente, l’Africa e quel che rimane in Bielorussia. Di questa compagnia con il teschio come stemma e priva di facce, Prigozhin è diventato il primo a farsi vedere, ad associare un nome e cognome, che si muoveva tra i vari affari tenendoli tutti uniti, rompendo l’animato. Per alcuni russi, dopo il golpe partito e  mai arrivato a destinazione, Prigozhin in questi due mesi era diventato l’alternativa al potere di Putin, un’alternativa macabra, sanguinaria, che ha contribuito a costruire la violenza del potere del Cremlino e ha normalizzato le immagini della brutalità, il potere del ricatto, la comunicazione delinquenziale. Nei memoriali tra i fiori  rossi, le foto, le bandiere con il teschio, si confondevano la curiosità o addirittura le lacrime dei russi. Alcuni cittadini hanno anche portato i  figli a commemorare “l’imprenditore di talento” – come lo ha chiamato Putin – diventato “traditore” – come lo ha chiamato sempre Putin – e hanno posato delle lettere dirette allo “zio Zhenja”, dal diminutivo di Evgeni, alla sua forza e al suo coraggio. C’è stato un momento in cui Putin e Prigozhin si sono separati in tutto, quello è stato il momento in cui il capo dei mercenari è diventato visibile, in cui la Wagner ha perso il teschio e ha messo la sua faccia come simbolo. In quel momento anche la propaganda si è diversificata. Una, quella di Putin, martellava in televisione. L’altra, quella dei mercenari, martellava su Telegram. 
Ora, alle porte del cimitero Porokhovski c’è il confine tra quei due mondi. Dicono i mercenari, sempre su Telegram, che è stata la madre di Prigozhin a pagare per i funerali e hanno mostrato che  sulla tomba, sotto la croce di legno, è stata  posata una poesia di Iosif Brodskij, lo scrittore di cui la propaganda di Mosca si è appropriata. Adesso delle sue parole si è appropriata anche la Wagner, oppure la madre di Prigozhin, o chiunque abbia scelto i suoi versi come epitaffio: 


Dice la Madre a Cristo:
―Tu sei mio figlio o il mio Dio? Sei stato inchiodato alla croce.
Come me ne andrò a casa? 
Come oltrepasserò la soglia, 
senza aver capito, senza aver deciso: 
tu sei mio figlio o Dio? 
Ossia: tu sei morto o vivo? 
E lui in risposta:
―Morto o vivo, donna,
non c’è differenza.
Figlio o Dio, io sono tuo. 

 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.