Spaccatura tra pasdaran e clero

La multa per le iraniane senza velo passa da 12 a 8.500 dollari

Cecilia Sala

Sulle punizioni per le donne che non rispettano la legge sul velo c'è un conflitto d’interesse tra l’apparato militare e il clero al potere. Parla Sajjad Safaei

Oggi una donna iraniana che non si copre la testa mentre passeggia per strada o è seduta al tavolo di un ristorante rischia da dieci giorni a due mesi di reclusione oppure una multa che va da un dollaro e diciotto centesimi a poco meno di dodici dollari. Ma il Majilis, il parlamento che dal 2020 è quasi un monocolore conservatore, sta lavorando a una legge su controlli molto invasivi e punizioni nuove per le ragazze che non rispettano l’obbligo di indossare il velo. Nell’ultima stesura la pena diventa dai cinque ai dieci anni di carcere per essere uscite di casa con i capelli al vento, e la multa alternativa diventa di 8.500 dollari – una cifra che nella Repubblica islamica non si può più permettere praticamente nessuna. Le nuove punizioni contro le donne ipotizzate finora sono inaudite anche per gli standard degli ayatollah e hanno un’opposizione inaspettata: quella dei pasdaran. I Guardiani della rivoluzione non sono diventati improvvisamente sensibili ai diritti delle ragazze, la loro posizione è dettata dalla consapevolezza che certi processi di emancipazione sono ormai molto avanzati e irreversibili, scegliere di non combatterli è pragmatismo, istinto di autoconservazione e opportunismo. C’è un conflitto d’interesse tra l’apparato militare e il clero  al potere, con il secondo che è per ovvi motivi più affezionato all’obbligo del velo e crede che quella regola sociale sia per il proprio regime una specie di muro di Berlino: se casca, casca anche tutto il resto. I pasdaran la vedono diversamente perché la sicurezza interna è uno dei pochi successi rimasti da vantare alla Repubblica islamica, e vogliono conservarla: “Ma finché i religiosi conservatori insistono nel pretendere che venga fatta rispettare una legge che la maggior parte degli iraniani considera insopportabile, l’Iran rimarrà in bilico, sempre a un passo da una crisi interna. E’ già successo alla fine del 2022 con le proteste cominciate dopo la morte di Mahsa Amini mentre era in custodia, e può ripetersi in qualsiasi momento”, dice al Foglio l’antropologo iraniano Sajjad Safaei, che risponde al telefono da Berlino ma ha vissuto a Teheran e ha ancora lì la sua famiglia.

Nel disastro economico che colpisce tutti gli iraniani, anche quelli che fino a pochi anni fa si consideravano molto benestanti, i pasdaran dicono all’opinione pubblica: però guardate la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, il Libano o lo Yemen, i nostri vicini sono divisi internamente, infestati dai terroristi, dalle guerre e da milizie armate incontrollabili; qui invece si vive sicuri e il monopolio della forza è saldamente nella mani dello stato, vi stiamo garantendo almeno questo: di tenere il caos lontano dalle vostre case. Questa promessa di stabilità è quella a cui i pasdaran non possono venir meno, ne va del loro potere che è cresciuto moltissimo negli anni –  proprio a discapito del clero con cui oggi vanno poco d’accordo –, e della loro scalata interna alle istituzioni della Repubblica islamica. I Guardiani della rivoluzione erano il sei per cento degli eletti in parlamento nel 1980, un anno dopo la Rivoluzione islamica, e sono il ventisei per cento oggi; il clero protagonista di quella rivoluzione rappresentava il cinquantadue per cento degli eletti nel 1980 e soltanto l’undici per cento, meno della metà dei pasdaran, oggi. La stessa tendenza si vede in molte altre istituzioni, dalla composizione del Consiglio di sicurezza agli organigrammi dei ministeri. “Se guardi gli articoli e le dichiarazioni sui media vicini ai pasdaran, sulla questione del velo i toni sono molto diversi dai toni con cui tratta lo stesso argomento l’establishment religioso. Javan, il quotidiano collegato ai Guardiani, ha pubblicato un editoriale allarmato in cui critica le decisioni prese per reprimere chi non indossa l’hijab e chiede di non ‘mettere i cittadini gli uni contro gli altri, portandoli al conflitto e così mettendo a rischio la  pace nel paese’. In un altro caso il direttore di Javan ha scritto che gli ayatollah della preghiera del venerdì – che in teoria sono intoccabili perché nominati personalmente dalla Guida suprema Ali Khamenei – ‘hanno perso il contatto con la realtà e non conoscono più la società iraniana, che è andata avanti’. E ha chiesto a tutti loro di smetterla con i commenti incendiari contro le donne che non indossano il velo”. La nuova legge, l’ultimo passo della guerra alle ragazze, può esacerbare questo scontro interno? “C’è una grande differenza tra annunciare una legge e implementarla, farla rispettare e comminare le pene. Ma se davvero lo faranno, se l’annuncio non è soltanto propaganda per l’elettorato ultraconservatore, allora potremmo assistere a una resa dei conti tra la teocrazia e il suo apparato militare, che non rimane a guardare – non certo per attenzione ai diritti umani ma per interesse – mentre si prepara una nuova crisi di sicurezza in Iran”. 
 

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