dal summit

Cosa si aspetta Kyiv dal vertice di Vilnius dopo il via libera di Erdogan alla Svezia

Micol Flammini

La capitale della Lituania fa strada all'Alleanza atlantica vestita di blu e di giallo, con le sue strade che inviano messaggi con bandiere, performace, foto e ricordi. L'Ucraina arriva con tre idee in testa, molto pragmatiche

Vilnius, dalla nostra inviata. Davanti alla biblioteca nazionale di Vilnius c’è una performance che non si interrompe mai. Uno schermo trasmette le immagini della guerra russa contro l’Ucraina, sotto c’è un tunnel trasparente,  angusto, un’attrice a fatica si muove al suo interno. Ogni urlo di dolore che proviene dal video è un passo piccolo, millimetrico, una vittoria nello spazio. Sta visibilmente scomoda,  e ferma questo suo strisciare soltanto quando sullo schermo appare la scritta bianca su fondo nero “Open Nato’s door for Ukraine now”, aprite le porte della Nato per l’Ucraina adesso. E’ una performance che va avanti senza sosta, la ragazza striscia, quando arriva alla fine del tunnel beve e poi, silenziosa, ricomincia. Il mondo dello  spettacolo in Lituania si occupa anche di Alleanza atlantica e molto di guerra, e in questi giorni  tutto per le strade di Vilnius non parla d’altro. Ci sono le bandiere blu  e gialle appese ai balconi, agli autobus, alle istituzioni. Anche la bandiera della Nato svolazza ovunque, spesso messa vicina a quella dell’Ucraina, in un richiamo continuo che riflette  la convinzione della Lituania che le due entità sono ormai inseparabili. Tutta Vilnius, a ogni angolo, lancia lo stesso messaggio: l’Ucraina deve entrare nell’Alleanza atlantica. Con le scritte, i manifesti, le esibizioni, con le foto dei lituani che sono morti per la libertà dall’Unione sovietica, Vilnius racconta il dolore di ieri e di oggi. Racconta sempre la sua storia e quella di Kyiv appaiate per dimostrare che la battaglia degli ucraini è la loro battaglia, che quello che accade oggi è figlio di quello che è accaduto ieri e la Lituania, le cicatrici dell’oppressore non le nasconde, le mostra tutte, è convinta che serva anche a Kyiv farle vedere. E si rammarica che il “non deve accadere mai più” pronunciato per anni riguardo alle violenze del Ventesimo secolo, da un anno a questa parte si sia trasformato in un “dobbiamo fermarlo adesso”. E’ con questi racconti, con queste immagini, e soprattutto con queste richieste che Vilnius accoglie i capi di stato e di governo che sono arrivati per uno dei summit più attesi della Nato degli ultimi anni. Gli eventi legati al summit  sono tantissimi, le istituzioni si dividono tra l’uno e l’altro, tutti sono tinti di blu e di giallo, tutti chiedono di accogliere l’Ucraina. Kyiv in realtà non si aspetta che verrà accolta, non adesso, non in questi giorni di Vilnius. Lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky lo ha detto con chiarezza e lo hanno ripetuto anche i suoi collaboratori. Sanno che essere ammessi nell’Alleanza intanto che la Russia occupa il loro territorio non è pensabile, ma bisogna ragionare sul futuro, sulla fiducia reciproca e il vertice  sarà importante anche per questo. Alcune cose sono certe, a Vilnius si discuterà di aumentare le spese militari, il 2 per cento del pil da versare in Difesa non sarà più il tetto di riferimento, ma la base minima di spesa,  e questo sono stati i paesi più vicini alla guerra a volerlo: Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia. L’obiettivo è uscire da  questo summit   più forti,   e per il momento tutti stanno facendo la loro parte. Anche Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco che oggi si è trascinato da un incontro all’altro per parlare dell’adesione della Svezia e alla fine, dopo mesi, ha accettato di sostenere la candidatura di Stoccolma per diventare un membro dell'Alleanza atlantica. In cambio il presidente turco ha voluto il sostegno della Svezia per il processo di adesione della Turchia all'Ue, l'aggiornamento dell'unione doganale e la liberalizzazione dei visti. Non è stata una concessione, è stato un soppesare quello che avrebbe potuto guadagnare. Il suo assenso all’ingresso dell’Ucraina lo ha dato già lo scorso  fine settimana ed è stato di peso. 

 

Contano però anche le divisioni tra il presidente americano Joe Biden e il premier britannico Rishi Sunak, che oggi a Londra hanno parlato per quaranta minuti del futuro dell’Alleanza atlantica. Su tre cose non sono andati d’accordo: le bombe a grappolo da inviare a Kyiv; il nome del  futuro segretario generale della Nato che sostituirà il pluriprorogato Jens Stoltenberg, il cui mandato scadrà il primo ottobre del 2024;  e infine l’adesione dell’Ucraina. Sunak è a favore di un ingresso il più rapido possibile, Biden ha detto che Kyiv ancora non è pronta. Tutti e due sostengono l’adesione, sono i tempi che cambiano. Gli ucraini sono ottimisti, sperano di non essere delusi. Sanno che quando Biden dice che ancora non sono pronti, intende dire che devono ancora fare delle riforme. Sanno anche che in questo momento nessun altro esercito del mondo fuori dall’Alleanza conosce bene le armi atlantiche quanto il  loro. Questo li rende i candidati naturali, i prossimi, quelli a cui far parte del club spetta di diritto,  anche perché alla Nato, una volta che la guerra sarà finita, conviene di più avere gli ucraini dentro che fuori.

 

L’Ucraina arriva a Vilnius con tre aspettative. Victoria Vdovychenko, professoressa dell’Università Borys Grinchenko di Kyiv, ha detto al Foglio che la prima delle tre aspettative è un comunicato che manifesti l’impegno politico dell’Alleanza atlantica   ad accogliere l’Ucraina  quando la guerra sarà finita. L’attesa di un futuro ingresso è una delle garanzie di sicurezza  che potrebbero  evitare una nuova invasione da parte della Russia. La seconda aspettativa è invece Oleksandr Khara a enunciarla durante un incontro con il Foglio: diplomatico, assistente del ministro della Difesa nel 2020, esperto di sicurezza e membro del think tank Centre for Defence Strategies. Secondo Khara uno degli obiettivi che Kyiv persegue a  Vilnius riguarda la Crimea e la sicurezza del Mar Nero e quindi la presa di coscienza da parte di tutti che il mare che lambisce il sud dell’Ucraina è  parte dell’architettura della sicurezza europea e atlantica.  Per renderlo sicuro bisogna fare in modo che la Crimea non sia più un arsenale russo. Il terzo punto riguarda il rispetto dei trattati, se è vero che l’articolo 5  rende impossibile l’adesione di Kyiv adesso, c’è però anche l’articolo 10 da prendere in considerazione, e recita:  “Le parti, con accordo unanime, possono invitare ad  aderire… ogni altro stato europeo in grado di contribuire alla sicurezza della regione”. Cosa che l’Ucraina già fa. Oggi il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha annunciato che la Nato ha rimosso l’obbligo per Kyiv di seguire il Map, il Piano d’azione per l’adesione, che rallenta di fatto i tempi. Ma alla vigilia del summit, sono pochi i funzionari dell’Alleanza che credono che tutto questo si tradurrà in un invito formale. I leader della Polonia e dei Baltici sono ancora al lavoro e si sono incontrati in un presummit in Lettonia, oggi anche Giorgia Meloni era  a Riga, e ha ribadito il suo sostegno all’Ucraina. Tutto però si deciderà a Vilnius e un rischio c’è: che l’Ucraina ottenga molto per l’oggi, poco per il domani. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.