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Negli Stati Uniti

C'è un diritto alle fake news? Una sentenza riapre il dibattito sulla libertà d'espressione

Pasquale Annicchino

Il giudice Terry Doughty della Louisiana ha emesso un’ordinanza secondo cui “durante la pandemia da Covid-19 il governo degli Stati Uniti sembra aver assunto un ruolo simile a quello del ministero della Verità di Orwelliana memoria”.  L'Amministrazione Biden ha già presentato appello contro una decisione che si annuncia foriera di nuove e decisive controversie giudiziarie

Nel libero mercato delle idee le restrizioni alla libertà d’espressione non sono necessariamente efficienti perché, come già aveva sottolineato John Milton, “in un incontro libero e aperto” la verità sarebbe riuscita a prevalere. Idee simili sono state ripetute da numerosi autori nel corso degli anni. Fu del resto lo stesso Thomas Jefferson a sottolineare la necessità di tollerare “gli errori nelle opinioni (…) quando la ragione è lasciata libera di combatterli”. Cosa resta oggi della teoria del mercato delle idee, dell’effettiva possibilità dell’individuo di maturare un genuino convincimento su basa razionale che, unito alle libere autodeterminazioni degli altri consociati, porti a far emergere la verità e far trionfare le forze della ragione sulle falsità o sugli errati convincimenti?

Assistiamo ogni giorno, in diversi paesi del mondo, all’avanzata dell’autoritarismo digitale spesso con forme giuridiche dove appare sempre più difficile distinguere tra cosa è pubblico e cosa è privato. Le grandi big tech cinesi sono pubbliche o private? Operano come braccio armato del regime di Pechino o sono società commerciali che vanno trattate come tali? Lo scambio di informazioni nei paesi occidentali fra le società che gestiscono i nostri dati personali e le istituzioni pubbliche rendono le prime parte del sistema pubblico di governance digitale, sempre più influente con l’aumentare delle forme del capitalismo della sorveglianza? Il dibattito è centrale rispetto a questioni di ordine costituzionale, quindi fondamentali, che riguardano le nostre società. Come spesso accade, le decisioni statunitensi anticipano dibattiti che, a breve, numerosi altri paesi si troveranno costretti ad affrontare. Basta guardare a quanto accade in Francia in queste ore e alle affermazioni del presidente Macron sul ruolo dei social media nel contesto dei recenti episodi di violenza.

 

Lo scorso 4 luglio, il giudice Terry Doughty della Louisiana ha emesso un’ordinanza, di 155 pagine e 721 note a piè di pagina, decidendo su una controversia del 2022 basata su un ricorso dei procuratori generali della Louisiana e del Missouri che suggerisce l’arrivo di un momento di svolta di questo dibattito. Secondo i ricorrenti il governo federale avrebbe violato la legge mediante i suoi sforzi atti a convincere le grandi piattaforme tecnologiche a moderare la diffusione delle informazioni che avrebbero potuto favorire lo scetticismo sui vaccini durante la pandemia da Covid-19 o influenzare le elezioni mediante la diffusione di fake news. Per il giudice Doughty vi sarebbe una “sostanziale evidenza” in grado di rappresentare uno scenario sostanzialmente “distopico” dell’operato delle istituzioni statunitensi: “Durante la pandemia da Covid-19, un periodo sicuramente caratterizzato da grandi dubbi e incertezze, il governo degli Stati Uniti sembra aver assunto un ruolo simile a quello del ministero della Verità di Orwelliana memoria”.

L’ordinanza preliminare firmate dal giudice Doughty vieta a varie agenzie governative e a membri dell’Amministrazione presidenziale statunitense (tra questi il Segretario alla Salute Xavier Becerra, la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre e i dipendenti del dipartimento di Giustizia e dell’Fbi) di comunicare e coordinarsi con le aziende che amministrano i social media al fine di intervenire sull’eventuale pubblicazione di alcuni contenuti o, eventualmente, di chiedere la rimozione di contenuti già pubblicati. I destinatari dell’ordinanza non potranno quindi  “sollecitare, incoraggiare, fare pressione o indurre in qualsiasi modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti contenenti libertà di parola protette”. L’ordinanza prevede tuttavia eccezioni limitate rispetto ad eventuali comunicazioni tra funzionari del governo e le aziende per ciò che riguarda i pericoli per la sicurezza nazionale ed eventuali condotte che possono dar luogo a comportamenti penalmente sanzionabili. L’ordinanza, contro cui l’Amministrazione Biden ha già presentato appello, si annuncia foriera di nuove e decisive controversie giudiziarie sulla struttura giuridica che le nostre società vorranno dare al contenuto del diritto alla libertà d’espressione nel mondo digitale. La questione non è marginale in quanto i rapporti pubblicati ogni anno dalle principali società specializzate indicano la costante crescita degli utenti delle piattaforme social e la loro influenza nel veicolare le notizie e nel porsi come fonte sempre più importante d’informazione per un numero sempre maggiore di cittadini.

 

Le ore successive alla pubblicazione dell’ordinanza sono state caratterizzate dalle classiche modalità del dibattito pubblico statunitense che sperimentiamo negli ultimi anni: la polarizzazione politica, mediatica e intellettuale ha favorito il formarsi delle consuete legioni a difesa della decisione (finalmente è stato svelato il complotto del governo e delle big tech contro i conservatori) e di quelle che invece vedono nell’ordinanza un segnale dell’avanzata del Conservative Legal Movement che ha ormai egemonizzato la Corte Suprema. Così come la metafora jeffersoniana del “muro di separazione” fra stato e confessioni religiose è per anni servita a raccontare la grande bugia di istituzioni statunitensi totalmente separate dal fenomeno sociale forse più rilevante del paese, la decisione del giudice Doughty sembra immaginare un nuovo grande “muro di separazione” fra la nuova religione delle compagnie del Big Tech e le istituzioni statunitensi. Ma i “muri di separazione” in una società complessa sono metafore utili solo a grandi semplificazioni. La tutela dei diritti e di un sano ecosistema mediatico ha invece bisogno della complessità dei rapporti che devono esserci fra istituzioni pubbliche e private. In questa complessità devono necessariamente definirsi anche i limiti dei possibili interventi delle istituzioni pubbliche affinché sia possibile garantire il necessario pluralismo sociale e delle opinioni. Che è quello che differenzia le nostre società dalle, sempre più diffuse, forme di autoritarismo digitale.

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