L'equilibrismo dell'Ue sulla Cina

Il Consiglio europeo adotta un documento neutro sui rapporti con Pechino. Il modello lituano può attendere

Giulia Pompili

“Serve più consapevolezza sulla Cina”, dice la vicepresidente del Ppe Rasa Jukneviciene, ex ministra della Difesa lituana

Uno dei punti centrali in discussione al Consiglio europeo che si è chiuso ieri avrebbe dovuto essere  il rapporto dell’Ue con Pechino. In realtà, a sentire chi ha seguito il dibattito, tutto si è svolto molto velocemente: i paesi membri hanno approvato le conclusioni senza modifiche. Del resto, il testo in discussione è stato negoziato per settimane, per trovare un punto d’incontro tra due posizioni opposte – i paesi membri che considerano la Cina al pari della Russia, con   conseguenze sul piano politico e di diplomazia, e quelli che invece sono  esposti economicamente e preferiscono la posizione conciliante, per non urtare la sensibilità della leadership cinese. Il gioco di equilibrismi del testo, però, secondo diversi osservatori rischia di essere poco efficace con Pechino.

 

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha detto ieri che l’Ue e la Cina “hanno un interesse comune”, quello di continuare ad avere una relazione stabile con Pechino “riducendo, allo stesso tempo, le vulnerabilità”. Insomma, la politica di engagement con Pechino non è in discussione. Diversa la posizione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha parlato solo di un “nuovo approccio” approvato alla riunione, quello del “derisking e non decoupling”. Eppure il documento approvato dal Consiglio è molto conciliante su alcuni punti rispetto alle posizioni espresse negli ultimi mesi da  von der Leyen, per esempio sul tema della sicurezza economica: auspica il mantenimento dello status quo nel Mar cinese orientale e meridionale, nello Stretto di Taiwan, esprime preoccupazione sulle violazioni dei diritti umani, ma per lo più promuove il dialogo con la seconda economia del mondo definita “un partner, un competitor e un rivale sistemico”. La linea Macron-Scholz di riapproccio alla Cina sta raccogliendo consensi, spiega al Foglio una fonte che ha lavorato alla preparazione del documento, soprattutto tra i paesi che hanno subìto le conseguenze economiche delle sanzioni alla Russia e adesso vogliono mettere in sicurezza il commercio con la Cina. Ma c’è dietro anche una strategia politica: è più facile negoziare tra Commissione e Consiglio quando si parte da una posizione piuttosto neutra.  


“Anche in Parlamento siamo aperti alla discussione, ci sono alcuni più moderati, altri no, ma in generale è tutta l’Ue che sta ripensando la politica con la Cina”, dice al Foglio Rasa Jukneviciene, ex ministra della Difesa lituana e oggi vicepresidente del Partito popolare al Parlamento europeo. Jukneviciene è tornata sabato scorso da una missione a Taiwan, dove ha incontrato anche la presidente Tsai Ing-wen. “L’invasione su larga scala della Russia contro l’Ucraina è stata una sveglia per l’Europa nei confronti degli autoritarismi. Ci sono molte similitudini tra il modello politico cinese di oggi e quello russo di qualche anno fa. Basta guardare a Taiwan, che subisce cyberattacchi, manipolazione dell’informazione, tentativi di influenzare le elezioni. Ciò che è oggi la Russia è molto chiaro per tutti”, dice Jukneviciene, “sulla Cina invece i governi dovrebbero lavorare per avere una politica equilibrata senza andare troppo lontani nelle relazioni, soprattutto se si parla di infrastrutture strategiche”. L’aspetto fondamentale, spiega la parlamentare europea, riguarda soprattutto “la consapevolezza. Oggi è impossibile non vedere alcune tendenze della Cina che magari anni fa, quando si è aperta al mondo e iniziava le riforme, era difficile riconoscere”.


Questa consapevolezza è contrastata, soprattutto in Europa, da un lavorio efficace e quasi sempre perfettamente legale, della Cina, nella promozione della sua visione del mondo e di un’immagine propagandistica, spesso distorta, che fa leva sui rappresentanti politici locali e sull’opinione pubblica dei paesi membri. Le sedi diplomatiche cinesi in Europa fanno uso di frequente di agenzie di Pr e promozione locali che aiutano e facilitano, per esempio, gli interventi dei rappresentanti cinesi sui media e le visite istituzionali. In una lunga inchiesta pubblicata l’altro ieri su Newsweek, l’analista Didi Kirsten Tatlow ha svelato la rete di oltre quattrocento gruppi del Fronte unito, legati direttamente al Partito comunista cinese, attivi nel Regno Unito – molti di essi sono ufficialmente associazioni di promozione della cultura cinese che operano per promuovere le posizioni politiche del Partito. 
La Lituania è uno dei paesi europei su posizioni più oltranziste sulla Cina. Poco prima dell’invasione russa dell’Ucraina, l’apertura di un ufficio di Taiwan nella capitale Vilnius scatenò una reazione “sproporzionata” di Pechino, dice Jukneviciene: “All’epoca i partiti di opposizione erano contrari al rafforzare le nostre relazioni con Taiwan, ci furono manifestazioni, proteste. Oggi molti di loro si sono scusati, dicono che fu un errore opporsi, e che è stata una scelta strategica giusta”. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.