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Il confronto Corte-Biden sui diritti e sui debiti degli studenti

Marco Bardazzi

Tre sentenze e tre sconfitte per il presidente su discriminazione razziale nell’accesso all’università, diritto di opporsi a fornire servizi per matrimoni gay a chi non li condivide e sul piano per cancellare i debiti universitari a una trentina di milioni di americani. Gli effetti su mobilitazione e consenso

Tre sonore sconfitte per Joe Biden e il mondo liberal americano, ciascuna con un voto di 6-3 lungo la faglia ideologica che separa i giudici conservatori e i progressisti. Tre segnali che confermano una svolta epocale in America, cominciata un anno fa con la storica sentenza che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto. Ma anche tre decisioni che potrebbero diventare armi politiche per la Casa Bianca, per mobilitare l’elettorato di sinistra alle elezioni presidenziali. Soprattutto i neri e i giovani, di cui Joe Biden ha disperatamente bisogno se vuole restare alla Casa Bianca dopo il voto del novembre 2024.

La Corte Suprema come sempre si è tenuta per gli ultimi giorni dell’anno giudiziario, che si è chiuso ieri, l’annuncio dell’esito dei casi più importanti su cui ha lavorato.

Giovedì è stata la volta della discriminazione razziale nell’accesso all’università, con la Corte che ha mandato in archivio decenni di politiche di affirmative action. Ieri è arrivata la doppietta finale. Prima una sentenza che riconosce il diritto di opporsi a fornire servizi per matrimoni gay a chi non li condivide: una decisione che rappresenta un forte segnale di cambio di rotta su tutti i temi Lgbtq. Poi la bocciatura del piano di Biden di cancellare i debiti universitari a una trentina di milioni di americani, che riguarda soprattutto le minoranze e in particolare i neri. Un progetto su cui il presidente aveva messo la faccia, promettendo di condonare buona parte degli 1,6 trilioni di dollari che milioni di americani devono al governo federale. Un abuso di potere secondo il presidente della Corte, John Roberts, per il quale Biden non può decidere da solo un intervento di questa portata e deve passare dal Congresso. 

Il senso generale delle sentenze di questi giorni – unite a quella Dobbs vs. Jackson sull’aborto – è il ridimensionamento del governo federale per restituire più autonomia al Congresso e soprattutto ai singoli stati. Secondo i giudici tocca ai legislatori trovare soluzioni che dagli anni Sessanta a oggi sono state impropriamente affidate al potere giudiziario. 
Adesso si aprono dibattiti culturali di enorme portata: dopo quello già avviato un anno fa sull’aborto, le sentenze ne hanno innescati altri su discriminazione razziale, diritti del mondo Lgbtq, poteri del governo federale e dei singoli stati. 

Tutto questo, paradossalmente, potrebbe confermare che Joe Biden è un presidente fortunato, oltre a essere uno dei politici più sottovalutati d’America. Ufficialmente è infuriato, giovedì ha sibilato che quella attualmente in carica “non è una Corte normale” e ieri ha promesso di combattere con nuovi provvedimenti la decisione sul debito universitario. In realtà il suo team alla Casa Bianca probabilmente festeggia, perché le sentenze che fanno esultare i repubblicani sono anche quelle che aiutano a indignare, mobilitare e in definitiva mandare in massa alle urne la base democratica.

Quantomeno è stato così con l’aborto, che si è rivelato la principale ragione che ha permesso ai democratici di non perdere le elezioni di midterm, conservando il controllo del Senato e tenendo abbastanza bene alla Camera. Quella sull’interruzione di gravidanza è stata una sentenza che ha aperto “un anno unico e tumultoso”, come ha detto giorni fa al Foglio il giudice della Corte Suprema Samuel Alito, che ha firmato la decisione Dobbs. Ne è nato un dibattito che ha puntato a marginalizzare e talvolta a criminalizzare la Corte. Gli attacchi che ricevono in questi mesi i membri dell’ala conservatrice sono senza precedenti.

Da due giorni il dibattito si è di nuovo infiammato per effetto della sentenza sull’affirmative action. Difficile però prevedere se si tratti di un tema che avvantaggerà i democratici come l’aborto. Sicuramente la Casa Bianca lo cavalcherà molto e a Biden servirà anche per rilanciare la vice Kamala Harris, oltre che per beneficiare ancora una volta della discesa in campo di Barack e Michelle Obama, che su questo terreno sanno mobilitare le folle.

I democratici potrebbero però cadere nel consueto errore di convincersi che il resto del paese la pensi come loro. I sondaggi più recenti dicono che la maggioranza degli americani non accettava più l’affirmative action, la riteneva un vantaggio ingiusto per le minoranze, una discriminazione al contrario per i bianchi. Scommettere di essere premiati alle urne su temi come questo può rivelarsi fatale, come è già successo in California nel 2020: lo stato più progressista d’America aveva proposto una legge per reintrodurre la “discriminazione razziale positiva” nelle scuole, ma gli elettori l’hanno bocciata con una maggioranza del 57 per cento. Un precedente su cui i candidati alla Casa Bianca su entrambi i fronti dovranno ragionare a fondo.

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