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L'altro volto di Parigi

Le rivolte in Francia e “lo spazio al margine” dei ragazzi interrotti

Mauro Zanon

Le proteste che stanno incendiando le banlieue francesi non sorprendono chi da anni lavora nei “territori perduti della Rébublique”. “I progetti per le periferie sono rimasti lettera morta”, ci dice Nejma Belhadj, un’operatrice sociale

Parigi. Le proteste che stanno incendiando le banlieue francesi dopo la morte del giovane Nahel, ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale, non sorprendono gli educatori e i mediatori culturali che da anni operano nei “territori perduti della Rébublique” (Georges Bensoussan) per compensare le piccole e grandi rinunce dello stato centrale, per favorire la pace sociale e il dialogo tra comunità e religioni. Nejma Belhadj, di origini maghrebine, è una di loro. Alla guida di un’associazione che lavora nel sociale, Nahda aiuta giovani e meno giovani del Petit Nanterre, quartiere popolare del comune situato a ovest di Parigi. “Non sono affatto sorpresa dalle rivolte”, dice al Foglio Nejma Belhadj. “Dopo quarant’anni di presenza sul campo nel quartiere Petit Nanterre, conosco bene la situazione. Ho conosciuto i genitori e i nonni dei ragazzi che oggi protestano nelle strade. Già negli anni Settanta constatavamo delle carenze che oggi si sono amplificate. C’è anzitutto una carenza educativa, o meglio della catena educativa, che va dai genitori alla scuola fino al lavoro e alla formazione professionale. Non ci si rende conto delle difficoltà cui vanno incontro i figli dell’immigrazione in questa società, poiché vengono da culture spesso lontane. A scuola, non c’è un vero coinvolgimento delle famiglie nell’educazione e non viene fatto abbastanza per l’inserimento professionale di questi ragazzi”, dice la presidente di Nahda.

 

Attraverso la sua associazione, Nejma organizza atelier socio-liguistici e digitali, attività culturali come il Kinkéliba, un caffè letterario e sociale per rafforzare il tessuto sociale del Petit Nanterre, aiuta i giovani a individuare la propria strada lavorativa sviluppando talenti e competenze, ma anche le persone in stato di precarietà nelle pratiche amministrative, dalle richieste di una casa popolare alle richieste d’asilo. Perché Le Petit Nanterre, come la maggior parte dei quartieri da cui vengono i ragazzi arrabbiati delle banlieue, “è uno spazio a margine della città, separato non solo geograficamente ma anche socialmente”, dice Nejma, mettendo l’accento sui “servizi di prossimità, che chiudono uno dopo l’altro” e acuiscono la ghettizzazione dei quartieri. “La polizia di prossimità non c’è più, i servizi sociali e le associazioni culturali abbassano la saracinesca e quelli che restano non hanno risorse sufficienti. Dagli anni Novanta, assieme ad altre donne, cerco di fare il mio meglio nell’ambito della mediazione culturale, ma non è semplice”, dice, citando poi un piano realizzato nel 2018 su richiesta del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, che, secondo lei, avrebbe potuto cambiare la politica delle periferie: il “piano Borloo”, dal nome dell’ex ministro del Lavoro e della Coesione sociale di Chirac, Jean-Louis Borloo.

 

I contenuti del progetto firmato da Borloo erano stati ben accolti dai politici e gli operatori locali, ma finì tutto nel cestino per volontà dello stesso Macron. “Borloo aveva consegnato questo ‘cahier des doléances’ al presidente, con un progetto serio per la ‘politique de la ville’. Ma è rimasto lettera morta, purtroppo”, dice Nejma. Vengono anche dal Petit Nanterre alcuni autori delle violenze urbane di questi giorni: violenze che hanno spinto il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, di concerto con le prefetture, a mobilitare un corposo dispositivo di poliziotti e gendarmi e ad imporre un coprifuoco a bus e tram (21.00) in tutto l’Île-de-France, la regione parigina. Ma qual è il profilo dei riottosi? Hanno in media dai 12 ai 18 anni, si danno appuntamento su Whatsapp e Telegram e si ritrovano a gruppi di 30 e 50, sono mobili e sfuggenti, fatto che rende il lavoro delle forze dell’ordine molto più ostico rispetto alle rivolte del 2005, quando c’erano dei luoghi di rivolta fissi e i social non avevano questa potenza.