Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi (Ansa)

La spaccatura

Il Patto sulla migrazione Ue rischia di essere bocciato un'altra volta

David Carretta

Domani la riunione dei ministri dell’Interno europei, ma le possibilità che raggiungano un accordo sulla gestione dei flussi sono al minimo. L’Italia si schiera con i paesi dell’est contro i campi di accoglienza al confine, l’incognita del voto

Bruxelles. Le possibilità che i ministri dell’Interno dell’Ue raggiungano un accordo sul nuovo Patto su migrazione e asilo nella loro riunione di domani sono ridotte al minimo, nel momento in cui l’Italia minaccia di non approvare un compromesso che obbligherebbe i paesi di primo ingresso a istituire un sistema di campi ai loro confini stile isole in Grecia, senza ottenere in cambio dei ricollocamenti obbligatori di richiedenti asilo. La presidenza svedese dell’Ue oggi farà un ultimo tentativo per raggiungere un’intesa tecnica tra gli ambasciatori dei ventisette, prima del Consiglio Affari interni di domani a Lussemburgo. Un consenso unanime appare impossibile. Gran parte dei paesi dell’est dovrebbe votare contro l’ultima bozza. Nessuno dei grandi paesi – Germania, Francia e Italia – ha ancora detto con certezza come voterà. Ma molto dipenderà dalla scelta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. L’Italia è decisiva per arrivare alla maggioranza qualificata, se la presidenza deciderà di sottoporre il testo al voto. Diversi diplomatici ritengono che sarebbe sbagliato far passare il nuovo Patto migratorio senza il via libera dell’Italia, perché Roma potrebbe decidere di andare allo scontro ignorando le nuove regole. Alcuni sperano che Piantedosi voti “sì” in cambio di un pacchetto di aiuti per la Tunisia. Il tempo sta scadendo. Senza non ci sarà accordo tra governi entro giugno, sarà difficile trovare un’intesa tra il Consiglio e il Parlamento europeo prima della fine della legislatura nel 2024.

 

Da quando la Commissione ha presentato il nuovo Patto su migrazione e asilo nel settembre del 2020, gli schieramenti non sono cambiati. Gli stati membri del nord vogliono rafforzare la responsabilità dei paesi di primo ingresso, in particolare attraverso la “procedura di frontiera”, che prevede di trattenere in centri ai confini in vista dei rimpatri i migranti che hanno poche probabilità di ottenere l’asilo. In cambio, i paesi del nord sono pronti a offrire più solidarietà in termini di ricollocamenti, accogliendo migliaia (ma non decine di migliaia) di richiedenti asilo da quelli di primo ingresso. I paesi del sud, alleati nel cosiddetto Med5 (Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro), chiedono più solidarietà sotto forma di ricollocamenti, perché il sistema attuale poggia quasi esclusivamente su di loro. Il Med5 teme che la “procedura di frontiera” trasformi i confini dei paesi di primo ingresso in grandi campi come quelli delle isole in Grecia. I paesi dell’est – in particolare Polonia e Ungheria – rifiutano ogni forma di solidarietà concreta e dicono “no” sia a ricollocamenti obbligatori sia a contributi finanziari. I ricollocamenti obbligatori di migranti non sono sul tavolo. Il compromesso della presidenza svedese dell’Ue mira a trovare un equilibrio tra “solidarietà flessibile e responsabilità flessibile”, spiega al Foglio un diplomatico. La solidarietà flessibile prende la forma dei ricollocamenti di richiedenti asilo, ma solo volontari. I paesi che rifiutano i ricollocamenti potranno versare a quelli di primo ingresso una compensazione. La cifra proposta dalla presidenza svedese è di 22 mila euro a migrante e una tantum. La Germania considera che sia il minimo. La Polonia e l’Ungheria sono contrarie. Altri paesi sono disposti al massimo a 10 mila euro.

 

La “responsabilità flessibile” prevede obblighi molto rigidi per i paesi di primo ingresso attraverso la “procedura di frontiera”. Ma il compromesso include delle concessioni al Med5, in particolare quando i flussi sono troppo alti rispetto alle capacità di accoglienza. L’Italia ha chiesto un “tetto” oltre il quale i paesi di primo ingresso possono disapplicare la “procedura di frontiera”. Ma Germania, Francia e Paesi Bassi sono contrari, perché il tetto riaprirebbe il rubinetto dei movimenti secondari. Il compromesso della presidenza svedese dell’Ue mantiene anche uno dei capi saldi del regolamento di Dublino, più volte denunciato dall’Italia: i paesi di primo ingresso conserverebbero la responsabilità dei migranti che si sono spostati in altri stati membri per un periodo molto lungo (Dublino prevede 12 mesi, mentre ora si negozia 1-3 anni). Altra misura penalizzante per il Med5: il compromesso esclude la possibilità di sospendere i trasferimenti dei cosiddetti “dublinanti”, come ha fatto l’Italia dallo scorso novembre. In caso di fallimento domani, la presidenza svedese potrebbe riprovarci tra un paio di settimane per evitare che il Patto su migrazione e asilo finisca sul tavolo dei capi di stato e di governo al Consiglio europeo di fine giugno.