Gli avvocati di Eva Kaili al tribunale di Bruxelles (LaPresse)

Scandalo o romanzo?

Così la presunzione di colpevolezza ha deformato il Qatargate

David Carretta

L’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili esce dal carcere e promette di dimostrare la sua innocenza. Il giudice Claise e “l’abuso di credulonità” che mina lo stato di diritto

Bruxelles. Le prime interviste di Eva Kaili dopo la sua liberazione dal carcere rafforzano molti degli interrogativi emersi nei sei mesi del Qatargate. Il più grave scandalo di corruzione che abbia mai colpito il Parlamento europeo alla fine potrebbe rivelarsi piccolo, limitato a una piccola cerchia legata ad Antonio Panzeri, che ha operato nell’ombra come una lobby, sfruttando relazioni personali e famigliari per cercare di influenzare decisioni, ricevendo molti soldi in contanti, senza emettere fattura per i servizi concessi al Qatar e al Marocco. Il grande romanzo presentato dal giudice belga che dirige l’inchiesta, Michel Claise, era pieno di pagine sulle indagini e le perquisizioni clandestine dei servizi segreti, su autorevoli organizzazioni non governative vendute a potenze straniere, su grandi manovre per condizionare i deputati, su valigie di soldi distribuite nel cuore dell’Ue, su arresti e mandati d’arresto europei per deputati, funzionari e assistenti. Sei mesi dopo, il romanzo è diventato d’appendice e il presunto capo dell’organizzazione criminale (Antonio Panzeri, l’ex deputato europeo del Partito democratico che ha firmato un accordo con la procura diventando il “pentito” del Qatargate) sfrutta un ex collaboratore e chiede favori agli amici italofoni. Ci sarebbe da ridere, ma l’abuso di “credulonità” ha effetti nefasti sulle libertà personali e sullo stato di diritto collettivo.

 

Eva Kaili, nelle interviste a Libération e al Corriere della Sera, ha ribadito la sua linea difensiva sul Qatargate: “Non ho alcun ruolo” e “dimostrerò la mia innocenza”. L’ex vicepresidente del Parlamento europeo ha anche rilanciato le accuse dei suoi avvocati sul trattamento che le è stato riservato: l’impossibilità di vedere la figlia, le condizioni di detenzione incivili e i quattro mesi di carcerazione preventiva. Nelle due interviste ci sono contraddizioni: Kaili racconta al Corriere di aver trovato i soldi del compagno, Francesco Giorgi, in una valigia e a Libération in una cassaforte. Toccherà a un tribunale, se la procura deciderà di rinviarla a giudizio, stabilire se è colpevole. Ma ciò che emerge dal suo racconto è il disprezzo della presunzione di innocenza da parte dei giudici che l’hanno tenuta in galera, delle istituzioni che avrebbero dovuto difendere le sue prerogative e del sistema mediatico con la pubblicazione di verbali e atti di indagine che dovrebbero restare segreti.

 

Kaili è convinta che “il pentimento e le confessioni di Panzeri siano state ottenute sotto minaccia. Il messaggio era chiaro: se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione”, ha spiegato l’ex vicepresidente del Parlamento europeo: “Hanno fatto lo stesso con me. Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia”. Questo trattamento è stato riservato dal procuratore Claise a Niccolò Figà Talamanca, segretario generale (autosospeso) della ong No Peace Without Justice, che ha trascorso quasi due mesi in carcere, prima di essere rilasciato senza condizioni (formalmente sarà scagionato solo quando la procura deciderà di andare al processo e, forse, ci vorranno anni). Luca Visentini, l’ex sindacalista arrestato il 9 dicembre insieme a Panzeri, Talamanca e Giorgi, era stato rilasciato in poche ore, solo perché aveva ammesso di aver ricevuto un aiuto in contanti per la campagna per farsi eleggere a capo della confederazione internazionale dei sindacati. Secondo Kaili, quelli di Claise “sono metodi non degni di uno stato di diritto”. Per contro, per l’europarlamentare greca, il procuratore sceriffo avrebbe “curiosamente” risparmiato un’altra personalità citata nei rapporti dei servizi segreti belgi e negli interrogatori degli indagati: l’eurodeputata socialista belga, Marie Arena. Legata a Panzeri da un’amicizia personale, non è finita in galera come il suo collega Marc Tarabella (anche lui liberato dopo due mesi di carcere preventivo). Arena è una protetta di Elio Di Rupo, ex premier e leader del Partito socialista francofono e pilastro dell’establishment politico del Belgio.

 

I metodi del giudice Claise, la durata della carcerazione preventiva e le condizioni di detenzione nelle carceri avrebbero dovuto sollevare qualche domanda sullo stato di diritto in Belgio. Invece, la presunzione di colpevolezza è prevalsa anche dentro al Parlamento europeo e alle altre istituzioni dell’Ue. Kaili è stata destituita dalla sua carica di vicepresidente con un voto quasi unanime della plenaria per una “colpa grave” che nessuno ha dimostrato. L’iniziativa era stata presa dalla presidente Roberta Metsola, lanciatasi in una campagna giustizialista con lo slogan “non c’è spazio per l’impunità”. L’europarlamentare Andrea Cozzolino, cui è stata tolta immediatamente l’immunità, dopo il mandato d’arresto europeo chiesto da Claise, potrebbe trasformarsi nel prossimo personaggio del romanzo d’appendice. Di fatto Metsola ha accettato il principio che chiunque comparisse negli atti di indagine fosse automaticamente colpevole. La presidente del Parlamento europeo e gli altri deputati hanno dimenticato che l’immunità, in una democrazia, serve a proteggere il potere legislativo da un potere giudiziario che si sente sceriffo. L’abuso di “credulonità” può uccidere lo stato di diritto.