La frontiera fra Stati Uniti e Messico, presso il Rio Bravo ( Getty Images)

Terra promessa

L'Ucraina del North Dakota. Così cambia il volto degli Stati Uniti

Marco Bardazzi

L'immigrazione rimane al centro del dibattito pubblico statunitense, anche in vista delle presidenziali del 2024. Le aperture umanitarie, la situazione drammatica al confine con il Messico e i nuovi rifugiati venezuelani

Se i fratelli Coen decidessero di imbarcarsi in un remake di “Fargo”, il film che li rese celebri nel 1996 insieme alla straordinaria Frances McDormand, avrebbero il problema di dover studiare un po’ di tradizioni ucraine. Qualcosa di simile a quello che fece Michael Cimino alla metà degli anni Settanta, quando ambientò il suo “Il cacciatore” in mezzo alle acciaierie nel cuore della Pennsylvania, dove Robert De Niro e Meryl Streep vivevano cinematograficamente in una comunità di russi-americani. Perché Fargo sta diventando una Little Ukraine, nell’ennesimo rimescolamento di storie ed etnie a cui gli Stati Uniti sono abituati da quando sono stati fondati. L’immigrazione resta la croce e la sorpresa dell’America. La croce è la situazione drammatica che persiste al confine con il Messico, dove ogni scelta ha una forte valenza politica e dove ora l’amministrazione Biden cerca di far fronte all’ondata di disperati con regole d’emergenza e un’app per lo smartphone, una sorta di versione moderna di Ellis Island. La sorpresa è l’ennesima nuova mappa geografica a cui stanno dando forma le aperture umanitarie degli ultimi anni. Se Minneapolis e il Minnesota sono diventati anni fa un pezzo di Somalia, con un terzo di tutti i somali scappati in America dalla guerra concentrati da quelle parti, il vicino North Dakota con Fargo si appresta a essere la terra promessa degli ucraini. Mentre lo Utah si sta trasformando per i venezuelani in ciò che la Florida è da decenni per i cubani.

 

Come in Europa, non ci sono soluzioni semplici neppure negli Stati Uniti alla sfida epocale delle migrazioni. La differenza sta nella storia di un paese che è fatto da sempre di immigrati e nella propensione a cercare risposte pragmatiche. Donald Trump, a proposito di pragmatismo, ci aveva provato con la costruzione del suo celebre Muro al confine con il Messico, innalzando barriere per qualche centinaio di chilometri. Joe Biden è alla ricerca di una propria risposta strutturata e per ora ha trovato solo soluzioni provvisorie e altrettanto pragmatiche come l’app CPB One, che decine di migliaia di persone in cerca di asilo stanno scaricando sugli smartphone in tutta l’America Latina. L’app permette di fissare un appuntamento con le autorità americane per l’immigrazione prima di tentare l’ingresso nel paese e offre un minimo di legalità a un percorso finora fatto solo di trafficanti, traversate illegali nel deserto, tentativi a nuoto nel Rio Grande e tanti, tanti morti. Una soluzione che i repubblicani hanno già polemicamente ribattezzato “il servizio di concierge” che l’amministrazione democratica, a loro avviso, starebbe mettendo a disposizione dei clandestini. Il tema dell’immigrazione sarà ancora una volta centrale nella campagna elettorale per la Casa Bianca che Biden, Trump e gli altri candidati si apprestano ad affrontare. E ancora una volta si tratterà di una questione fortemente politicizzata con almeno tre fronti diversi su cui scontrarsi. Il primo è legato ai programmi umanitari di accoglienza di profughi in arrivo da zone di guerra, come i venezuelani, gli ucraini e gli afghani. Il secondo è quello della gestione dell’ondata di uomini, donne e bambini che preme al confine sud con il Messico. Il terzo è infine quello della reazione e degli spostamenti del voto che tutto questo provocherà nelle elezioni 2024 tra gli immigrati che sono già diventati cittadini americani: la corsa alla Casa Bianca si giocherà anche sulla conquista del consenso tra le varie comunità etniche e linguistiche presenti nel paese. Gli effetti di più lungo termine sull’America li avrà probabilmente il primo fronte. Biden ha di fatto già aperto un gran numero di porte d’ingresso secondarie per i profughi e i numeri, sommati insieme, fanno emergere il quadro di un evento epocale in corso per l’immigrazione americana, come se ne sono già verificati in passato, ogni volta cambiando in modo significativo il volto del paese. 

 

Gli ucraini arrivati dall’inizio della guerra scatenata da Putin sono già 300 mila, un numero che supera la somma di tutte le accoglienze umanitarie negli Usa negli ultimi cinque anni. Molti altri sono in arrivo e gran parte di loro sono destinati ad essere accolti in North Dakota, dove esiste già una storica comunità ucraina nata alla fine dell’Ottocento, nello stesso periodo in cui nasceva la Little Ukraine di New York, che ancora oggi si ritrova nell’East Village intorno alla chiesa cattolica ucraina di San Giorgio sulla Settima Strada. L’industria estrattiva di Fargo e dintorni li aspetta a braccia aperte: mancano diecimila lavoratori e gli ucraini sono visti come manodopera qualificata e ideale per il clima difficile dello stato del Nord. Il sistema di accesso per gli ucraini si basa su un programma di ammissione che prevede l’esistenza di sponsor americani che garantiscono per loro. È lo stesso canale che entro la fine del 2023 permetterà l’arrivo di altri 370 mila tra venezuelani, cubani, nicaraguensi e haitiani, sempre utilizzando le corsie privilegiate aperte dall’amministrazione Biden nel tentativo di alleggerire la pressione al confine con il Messico. È una scelta che la Casa Bianca ha fatto a gennaio e basta un semplice confronto con il passato recente per capirne la portata: si tratta di più persone di quante, sommate insieme, hanno ricevuto negli ultimi 15 anni il visto per gli Usa nei quattro paesi interessati. Per i venezuelani la terra promessa è lo Utah, lo stato dei mormoni, grazie anche alla forte rete che la chiesa di Salt Lake City ha creato in America Latina: nel solo Venezuela nel 2020 c’erano 174 mila mormoni. Nello Utah stanno sorgendo tante piccole Caracas, favorite dalla disponibilità di lavoro (è il secondo stato negli Usa con il minor tasso di disoccupazione, il 2 per cento, dopo il Minnesota) e dall’accoglienza tipica dei mormoni per le famiglie con tanti figli. I caraqueños qui si sentono a casa, stanno ricostruendo un ambiente in stile venezuelano e a Salt Lake City vanno esauriti i concerti delle star del pop latino come Carlos Vives. Per capire la velocità con cui sta avvenendo l’assimilazione degli immigrati sudamericani nello Utah, basta navigare il feed su Linkedin della “Venezuelan Alliance of Utah” che testimonia i successi imprenditoriali e le proposte di lavoro disponibili. Non è lontano un futuro che vedrà i venezuelani trasformarsi in una forte realtà anche politica nello stato, analoga a quella dei cubani in Florida, dei portoricani a New York o dei salvadoregni a Washington.

 

Oltre ai nuovi arrivi, c’è il fenomeno dell’estensione dei permessi temporanei per motivi umanitari a chi è già negli Usa. Il centro studi Pew Research Center è andato a esaminare i dati del Dipartimento per l’Homeland Security e ha scoperto che ci sono 670 mila persone provenienti da 16 paesi che si sono viste prorogare il cosiddetto “Temporary Protected Status” (Tps), che permette di vivere e lavorare negli Usa a chi proviene da paesi a rischio, in attesa che sia esaminata la pratica di accoglienza. Il popolo dei programmi Tps è variegato e molto spesso è fatto di persone che vivono da tempo in America. L’amministrazione Biden da due anni cerca di trovare soluzioni per la regolarizzazione, dopo che Donald Trump aveva cancellato buona parte dei diritti di chi vive con i permessi provvisori. Ma per il momento si procede con le proroghe, accompagnate dall’estensione della lista dei paesi di cui vengono accolti i rifugiati. Lo Yemen, il Sudan, la Siria, l’Etiopia e altre zone “calde” del mondo stanno trasferendo famiglie e comunità all’America, come era accaduto in passato per i vietnamiti o i cubani. E prima ancora per le gigantesche migrazioni a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, quelle di irlandesi, tedeschi, italiani, russi e di milioni di ebrei dell’est europeo. Tanti tra i nuovi arrivati andranno a mescolarsi con le centinaia di etnie che convivono in metropoli come New York, ma molti creeranno delle enclave che dureranno nel tempo. Come la Little Havana di Miami o come la meno nota ma influente piccola “Mesopotamia” che da un secolo è nata nei sobborghi di Detroit, abitata da 200 mila cattolici caldei fuggiti dall’Iraq nel corso dei decenni: una realtà forte, unita, ben integrata e di grande successo economico.

 

Sulla gestione dei rifugiati anche i repubblicani, per quanto critici sui metodi e le aperture dell’amministrazione Biden, restano aperti a un minimo di compromesso in Congresso soprattutto perché è l’economia americana ad averne bisogno. Uno studio di Fwd.us, un’organizzazione per l’accoglienza e il ricollocamento degli immigrati, ha stimato che 450 mila adulti entrati nel 2021 e 2022 negli Usa siano già stati assorbiti dal mondo del lavoro: tra questi, 93 mila sono impiegati nell’edilizia, 70 mila nella ristorazione e nel settore alberghiero, 53 mila nel commercio, 51 mila in attività professionali e il restante in manifattura, trasporti, sanità, servizi. Le cose cambiano però quando si tratta di gestire la situazione drammatica di chi cerca di entrare negli Usa in modo clandestino dal Messico. Due milioni di persone senza documenti e senza diritti risultano entrate nel corso del 2022 negli Stati Uniti attraverso i deserti e i confini meno protetti del Texas, dell’Arizona, del New Mexico o della California. Un gran numero di loro sono state rispedite indietro, un altro gran numero sono probabilmente entrati restando sotto il radar, e un altro gran numero sono morti. Sono tutti “grandi numeri” difficili da calcolare, perché lungo il confine messicano tutto avviene attraverso canali clandestini e la situazione resta disperata. I repubblicani hanno buon gioco nel definirla un caos che l’amministrazione Biden non sta risolvendo. Il presidente aveva affidato la pratica alla vice Kamala Harris, ma da gennaio sembra aver ripreso in mano la gestione del tema immigrazione, forse perché poco contento dei risultati. I governatori della destra, nel frattempo, ne hanno approfittato per qualche operazione mediatica giocata sulla pelle degli immigrati. Greg Abbott, il governatore del Texas, ha spedito alcuni autobus di immigrati messicani alla vigilia di Natale a casa della Harris a Washington. Ron DeSantis, suo collega della Florida e probabile sfidante di Trump per la nomination dei repubblicani, ne ha mandati qualche decina in aereo a Martha’s Vineyard, l’isola delle memorie kennediane in Massachusetts che è meta di vacanza dell’élite progressista.

 

Mentre i politici litigano e si fanno pubblicità su un tema tragico, migliaia di persone premono da sud e sono in balia dei trafficanti, i rapporti tra il governo di Washington e quello del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador non sono dei migliori e le traversate di notte per entrare in America restano disseminate di morti. Lo sanno bene i volontari dell’organizzazione Armadillos Search and Rescue, che si sono presi il compito di svolgere un triste lavoro: la ricerca dei cadaveri nel deserto, per dare risposte ai familiari dei migranti dispersi. Il team di Armadillos setaccia luoghi sperduti e disabitati come il parco Organ Pipe Cactus National Monument in Arizona, un’area protetta nel deserto di Sonora dove in tanti provano l’attraversamento del confine e molti restano uccisi dal caldo, la disidratazione, il disorientamento in mezzo ai cactus. La pagina Facebook “Ni un migrante menos” di Armadillos è il luogo dove chi ha perso le tracce di una persona cara che cercava di entrare negli Usa, va a caccia di informazioni o chiede aiuto. I volontari raccolgono i dati disponibili, poi si avventurano nel deserto e molto spesso sono loro a scoprire e recuperare i cadaveri. Nel 2022 i morti registrati lungo il confine dal Missing Migrants Project, che tiene il triste conteggio, sono stati 668, ma è probabile che la cifra reale sia molto più alta.

 

La speranza dell’amministrazione Biden adesso è di alleggerire la pressione sul confine sud con i programmi di accoglienza per i rifugiati e con l’utilizzo della app che permette di combattere i traffici clandestini e cercare di regolare il flusso. Ma a marzo gli agenti dello U.S. Border Patrol che pattugliano la frontiera hanno arrestato 162 mila persone, con un aumento del 25 per cento su febbraio e la situazione dovrebbe peggiorare nelle prossime settimane, quando il governo - salvo ripensamenti - lascerà scadere il cosiddetto Title 42, una regolamentazione che aveva permesso di accelerare le espulsioni durante gli anni del Covid. Le previsioni sono per un aumento dell’ondata con oltre 13 mila migranti al giorno in arrivo e picchi di 400 mila al mese. Una sfida difficile per Joe Biden che ha appena iniziato la campagna elettorale per il secondo mandato da presidente. Le comunità degli ispanici e le tante etnie che popolano le città americane osserveranno con attenzione. E voteranno di conseguenza.