cosa succede a Teheran

In Iran cambia il sistema di controllo delle ragazze: meno poliziotti e più tecnologia. La protesta si trasforma

Cecilia Sala

A partire da settembre le autorità iraniane si sono divise spesso su come reagire al regime. Il consenso alle punizioni più severe è scarso anche tra chi le dovrebbe implementare, un pezzo della politica (anche conservatrice) e del clero. Un’altra parte degli ayatollah considera il velo il proprio Muro di Berlino

Si chiama “challenge” quel gesto identico ripetuto molte volte da molte persone che si filmano o si fotografano e poi pubblicano la prova di una propria azione online: in Iran in questo momento ce ne sono tre. La prima è farsi fotografare in coppia, posizionati entrambi di spalle, mentre un marito o un fidanzato mette il braccio intorno alla vita di una donna senza velo. La seconda è filmare un’amica che al momento di passare i tornelli in metropolitana davanti alle guardie indossa l’hijab ma, appena superata la barriera, se lo toglie e sale sul vagone con i capelli al vento. La terza è la più rischiosa e consiste nel farsi fotografare o scattarsi un selfie in strada, senza velo, davanti ai poliziotti. 

In Iran non ci sono più i cortei nelle strade ma, dalla capitale Teheran alla città conservatrice e sacra di Mashhad fino alla provincia del Kurdistan a nord-ovest del paese, le iraniane stanno usando gli smartphone per filmare e postare gesti individuali che – raccolti tutti insieme sotto uno stesso hashtag sui social network – diventano una sfilata di migliaia di donne non velate. E’ una protesta sia fisica sia digitale e segue la stessa trasformazione dei metodi della repressione. Il 15 aprile il capo della polizia, Ahmad-Reza Radan, che è stato nominato quattro mesi fa anche con il compito di fronteggiare il movimento Jin, Jiyan, Azadi (donna, vita, libertà), ha detto che per far rispettare l’obbligo del velo servono meno poliziotti e più tecnologia. Da quel giorno, dice Radan: le donne e le ragazze “non conformi” saranno identificate dalle telecamere a circuito chiuso “presenti in ogni angolo”, a quel punto riceveranno una notifica e non saranno punite ma, se insistono a non indossare l’hijab, verranno multate e – se in auto non si coprono la testa – l’auto verrà confiscata. 

A Teheran, le ragazze che non portavano il velo in macchina o se lo toglievano appena entravano nei ristoranti dei quartieri più liberali o in quelli frequentati soprattutto da giovani erano tante anche prima del movimento di protesta cominciato con la morte di Mahsa Amini. Ma negli ultimi mesi erano diventate decine di migliaia, in alcune zone della città erano maggioranza.
La Repubblica islamica ha acquistato dispositivi e competenze sulle telecamere intelligenti dalla Cina, soprattutto da una società che si chiama Tiandy, leader mondiale della videosorveglianza collegata agli algoritmi che ha sede a Tientsin, a sud-est di Pechino. Il programma di controllo del dissenso studiato in collaborazione con i cinesi è cominciato due anni fa, ma è diventato famoso lo scorso agosto quando – per la prima volta – un ufficiale del paese ha ammesso la presenza degli occhi per controllare le donne piazzati in giro per la città, in cima agli sportelli dei bancomat e pure agli scivoli per bambini nei parchi giochi. 

Ieri è stata chiusa una libreria storica perché aveva venduto libri e riviste a ragazze senza velo, era già successo con negozi di dischi, caffetterie, hotel, sale giochi e banchi del bazar. Radan dice che chi “istiga a non coprirsi” è più colpevole delle donne stesse – non è chiaro a cosa si riferisca nello specifico, ma pare che intenda inserire nella categoria anche i proprietari di quei locali. Nelle ultime settimane sono state installate nuove telecamere anche in autostrada, per controllare le donne guardando dentro i finestrini delle auto. Nella riscrittura delle regole la punizione più severa ipotizzata è quella che prevede, per le donne che dopo i richiami e le multe continuano a rifiutarsi di mettere il velo in testa, la privazione di alcuni diritti sociali e, in particolare, del diritto all’istruzione. Nelle università iraniane ci sono più ragazze che ragazzi, anche le materie Stem (tecnologiche e scientifiche), che in tutto il mondo sono studiate soprattutto da maschi, in Iran sono dominate dalle ragazze. La proposta spaventosa ha indignato persino Sakine Sadat Paad, la consigliera politica del presidente conservatore Ebrahim Raisi. Lei ha preso la parola in pubblico per dire che infliggere una pena simile alle ragazze che non portano l’hijab è “innanzitutto anticostituzionale”. E poi: “La (loro) violazione delle norme non può essere punita con (nostre) decisioni altrettanto illegali, non islamiche e irrazionali. Tutti dobbiamo obbedire alla legge senza eccezioni”. A partire da settembre le autorità iraniane si sono divise spesso su come reagire a un movimento di protesta senza precedenti, il consenso alle punizioni più severe è scarso anche tra chi quelle punizioni le dovrebbe applicare, un pezzo della politica (anche conservatrice) e del clero.  Un’altra parte degli ayatollah considera il velo il proprio Muro di Berlino. 
 

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