la riforma a gerusalemme

In Israele serve un pompiere per placare il governo e le proteste

Micol Flammini

Nel partito di Netanyahu si cerca chi possa sbloccare il paese. Alcuni puntano sul recalcitrante ministro della Giustizia Levin 

Lunedì si è tenuta una riunione interna del Likud, il partito del premier israeliano Benjamin Netanyahu,  e il clima descritto dai media che avevano fonti interne non era rilassato. Molti parlamentari del Likud erano a disagio proprio con l’argomento che sta dividendo il premier e la piazza, che anche ieri è scesa in strada a manifestare: la riforma della Giustizia. Gli esponenti del partito che avevano sollevato l’argomento si rivolgevano con insistenza a un uomo, che di questa riforma è tra le menti, e il quale potrebbe avere l’autorità e la posizione per rivederla. Tiravano nel mezzo della discussione il ministro della Giustizia Yariv Levin, chiedendogli di spiegare cosa potrebbe succedere se la Corte suprema decidesse di ribaltare la norma che conferisce più potere alla maggioranza per  nominare i giudici. Israele va incontro a un blocco giudiziario e politico, e gli uomini del premier, che lo accompagnano da decenni, all’interno di questo blocco stanno scomodi e non è confortante   vedere Netanyahu arrivare a Londra tra le proteste ed essere accolto dal premier inglese con un discorso-ramanzina   sui princìpi democratici. Secondo uno degli ultimi sondaggi, il Likud rimane il partito più votato e questo dato stride con la furia della piazza. Alcuni uomini del premier temono però che più si andrà avanti con la riforma, più cresceranno i disagi e più il Likud ne farà elettoralmente le spese. 

 

Levin è uno dei ministri guardati con speranza e anche con diffidenza, è il mentore del premier per tutto quello che riguarda le questioni della Giustizia e anche legali, è un avvocato e molto del malcontento nel Likud è rivolto a lui, colpevole, secondo alcuni, di aver chiuso quella riforma con troppa fretta, di averne parlato senza cercare un confronto, di averne fatto innamorare Netanyahu senza prospettargli le evidenti criticità. Il pasticcio nasce da Levin, che non è l’unico autore della riforma, e vista la sua influenza sul premier ci si aspetta che a risolverlo sia proprio lui, che molti riconoscono più come abile linguista – parla fluentemente l’arabo e ha pubblicato un dizionario – che come attento uomo di legge. Difficile che il Likud si spacchi sulla questione della riforma della Giustizia, ma si preferisce mediare prima di arrivare al voto. Levin e Netanyahu finora hanno dimostrato poca sensibilità per il dissenso interno ed esterno, poca voglia di ascoltare le critiche di chi pur partiva dal loro punto di vista: il sistema dei poteri in Israele è sbilanciato a favore della magistratura e  va riequilibrato. Levin ha iniziato la sua carriera nel Likud, era giovanissimo quando è diventato portavoce della sua fazione studentesca e dopo molta militanza fu proprio Netanyahu a dargli il suo primo incarico centrale: era il 2008 e i due già battagliavano contro la Corte suprema. Ora il ministro è considerato da tanti l’autore di un fallimento, di un polverone destinato a portare poco di buono o di utile: nel governo passato alla Giustizia c’era Ayelet Shaked, del partito di destra Yamina, che senza trambusto riuscì a far nominare due giudici del suo schieramento rimescolando la composizione della Corte. 

 

Si cercano figure in grado di spegnere il fuoco, di trattenere il premier e giovedì c’è stato un moto di dissenso da parte del ministro della Difesa Yoav Galant, che si trova a dover gestire gli scioperi gravissimi  dentro all’esercito. Dopo un colloquio con il premier, le tensioni si sono calmate, Bibi è andato davanti alle telecamere a dire che garantirà una revisione equilibrata. In pochi gli hanno creduto, gli israeliani sono scesi in strada e al Likud insistono: l’equilibrio deve iniziare da Levin. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.