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Volano stracci tra Vestager e Breton sugli aiuti di stato e l'Ira

David Carretta

La commissaria europea alla Concorrenza sostiene che la corsa ai sussidi "avrà un costo elevato per i contribuenti". Mentre il secondo sta usando l'Inflaction Reduction Act americano per promuovere la tradizionale linea interventista francese

Bruxelles. Il grande allentamento degli aiuti di stato promesso da Ursula von der Leyen per accontentare Francia e Germania nella risposta dell’Unione europea all’Inflation Reduction Act (Ira) dell’Amministrazione Biden si sta rimpicciolendo sempre di più. “Proporremo di adeguare temporaneamente, in maniera molto mirata, le nostre regole sugli aiuti di stato: calcoli più facili, procedure più semplici, approvazioni accelerate”, ha detto la presidente della Commissione in un discorso giovedì. A prima vista non molto sembra cambiato rispetto ai precedenti annunci di von der Leyen, che ha promesso una risposta all’Ira basata su maggiore flessibilità per i governi nel concedere sussidi e sconti fiscali. E invece, tra le righe, le differenze sono significative. Il 14 dicembre davanti al Parlamento europeo, von der Leyen aveva detto che le regole sugli aiuti di stato sarebbero diventate “più semplici e veloci per gli anni a venire”.

Il 17 gennaio al Forum economico mondiale di Davos aveva spiegato che la normativa sarebbe stata adatta “con offerte e incentivi che sono attualmente disponibili fuori dall’Ue” per permettere all’Europa di “essere competitiva”. Giovedì a Bruxelles ha usato un’espressione che ridimensiona il piano: la revisione sugli aiuti di stato sarà “molto mirata”. La rivolta dentro la Commissione – i tre vicepresidenti esecutivi, Margrethe Vestager, Frans Timmermans e Valdis Dombrovskis – e le proteste di un crescente numero di stati membri – i piccoli paesi del nord e quelli indebitati del sud – hanno costretto von der Leyen a fare una marcia indietro parziale, ma sostanziale.

 

Vestager, che ha la responsabilità della Concorrenza, è stata la voce più critica sul piano di aprire completamente i rubinetti degli aiuti di stato. “Sta emergendo l’idea che possiamo utilizzare gli aiuti di stato, non solo per colmare le lacune nell’attività del settore privato, ma come strumento chiave per aumentare la competitività”, ha spiegato Vestager il 25 gennaio: “Non funzionerà”. Primo, perché la competitività “non può basarsi sulla spinta artificiale a breve termine che i sussidi possono e dovrebbero fornire”. Secondo, perché una corsa ai sussidi “avrà un costo elevato per i contribuenti”. Terzo, perché “la realtà odierna nell’Ue è che non tutti i paesi hanno la stessa capacità di spesa” e, “anche se queste politiche potessero sostenere alcuni campioni europei (e ne dubito), il percorso per arrivarci creerebbe un serio divario tra gli stati membri”, ha detto Vestager.

La Germania ha notificato il 53 per cento dei 672 miliardi di aiuti di stato adottati nell’Ue a seguito della guerra in Ucraina. L’Italia appena il 7,65 per cento. Anche in termini di percentuale sul pil la Germania batte tutti: 9,24 per cento contro 2,69 per cento dell’Italia o 0,77 per cento della Spagna. Solo la Francia non si fa distaccare troppo dai tedeschi, con il 24 per cento degli aiuti notificati nell’Ue, pari al 6,13 per cento del suo pil. Applicare lo stesso metodo anche alla risposta all’Ira, senza un fondo comune europeo a causa dell’opposizione di Germania e Paesi Bassi, amplierebbe il divario. Cioè “l’integrità del nostro mercato unico”, ha ricordato Vestager.

Il grande avversario di Vestager dentro la Commissione è il francese, Thierry Breton, che ha usato efficacemente la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina per promuovere nell’Ue la tradizionale visione interventista della Francia. L’Ira di Biden gli ha fornito l’occasione per fare un salto di qualità in termini di settori e imprese su cui intervenire con risorse pubbliche. Emmanuel Macron gli ha dato man forte con una serie di proposte che di fatto lascerebbero mano libera ai governi per fornire sussidi e sconti fiscali. La Germania, impaurita da una potenziale fuga verso gli Stati Uniti delle sue imprese già in difficoltà per i prezzi dell’energia, è stata facile da convincere. Breton ha avuto meno successo tra i governi socialisti del sud, come la Spagna. Ma il suo iperattivismo e il sostegno di von der Leyen hanno provocato la reazione dei piccoli paesi.

L’ultima è una lettera con cui i ministri delle Finanze di Finlandia, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Irlanda, Austria e Slovacchia denunciano un piano per “sussidi permanenti o eccessivi non mirati”. In un discorso a Washington ieri, anche Breton ha ridimensionato le sue ambizioni, parlando solo di “uso intelligente e efficiente del denaro pubblico”. Ma molti si interrogano sull’opportunità di avere il francese come commissario al Mercato unico che lo stesso Breton sta contribuendo a minare.