Una raffineria a Omsk, Russia (Alexey Malgavko)

I dati

La grande crisi industriale russa è uno degli effetti della guerra di Putin

Federico Bosco

Nonostante una leggera ripresa dei numeri, questi rimangono lontanissimi dal calo dello scorso anno e non hanno ancora inciso sui volumi. La realtà è la carenza di offerta e un continuo aumento dei prezzi

Una delle conseguenze della de-occidentalizzazione della Russia è la sua de-industrializzazione. Il paese faceva un enorme affidamento sulle importazioni occidentali e fin dall’introduzione delle prime sanzioni la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina ha avvertito la leadership che il sistema economico doveva prepararsi ad affrontare un lungo periodo di “trasformazione strutturale” in cui le industrie rivedono profondamente la geografia delle importazioni e delle esportazioni, e che per i russi tutto ciò avrebbe significato spendere di più per avere prodotti meno moderni.

 

I dati dell'automotive russo pubblicati dalla Association of European Businesses (Aeb), l’associazione di categoria russa, confermano quelle previsioni. Nel 2022 le vendite di nuove autovetture e veicoli commerciali leggeri sono crollate del 59 per cento rispetto al 2021 fermandosi a 687mila unità (in un paese di 143 milioni di abitanti). Il presidente Alexey Kalitsev ha sottolineato che il risultato “non è poi così negativo come potrebbe apparire”, ma le tabelle del rapporto sono dominate da numeri negativi a doppia cifra, anche in cima alla classifica. Nel 2022 i marchi più apprezzati sono stati la russa Lada (-46 per cento rispetto al 2021), le coreane Kia (-68 per cento) e Hyundai (-67 per cento), ciò che rimane della francese Renault ora di proprietà statale russa (-70 per cento), e la cinese Chery, che non a caso ha registrato un incremento delle vendite del 4 per cento. Per i russi adesso i produttori cinesi offrono più garanzie rispetto alla produzione nazionale, specialmente per quel che riguarda l'assistenza e le forniture dei pezzi di ricambio.

 

Per quest’anno l’Aeb prevede una crescita del 12 per cento con la vendita di circa 770mila auto (+83mila rispetto all’anno scorso). Numeri lontanissimi da un recupero dal crollo del 59 per cento, ma Laitsev la considera una previsione “media, né ottimista né pessimista”. Secondo gli esperti dell’agenzia russa di analisi Autostat però la previsione di base per il 2023 è una crescita di appena il 4 per cento (un mercato stagnante), accompagnata da una previsione molto ottimistica (+25 per cento) e una pessimistica (-12 per cento). Molto dipenderà dall’aumento della quota di auto cinesi nel mercato russo, che se Pechino vorrà si impadroniranno del settore. L’Aeb prevede anche la crescita delle importazioni parallele di automobili, che ha iniziato a prendere forma nel 2022 ma non ha ancora iniziato a incidere sui volumi. Questo però è un privilegio per pochi, che riguarda per lo più i gerarchi del regime che potranno permettersi di pagare cifre enormi per possedere auto occidentali di alta gamma, aumentando le sperequazioni della società russa con un modello molto simile a quello del regime iraniano. Per i russi normali invece è tutto più difficile. Solo le russe AvtoVAZ, UAZ, GAZ e la cinese Haval continuano a mantenere la produzione in Russia, con una parte delle fabbriche che si è riorganizzata producendo auto basate su modelli cinesi per assicurarsi le forniture di componenti e pezzi di ricambio. Ma il presidente di AvtoVAZ, Maxim Sokolov, ha detto al Kommersant che questo approccio “crea solo l'illusione che la nostra industria sia stia riprendendo”.

 

La realtà infatti è la carenza di offerta e un continuo aumento dei prezzi – fin da aprile Rosstat ha registrato aumenti del 18 per cento per le auto nazionali e del 24 per quelle straniere. In questo Kalitsev è stato molto sincero, riconoscendo che “fino a quando le catene di approvvigionamento non saranno ripristinate e stabilizzate l’Aeb non prevede che i prezzi si stabilizzino”. Come disse Nabiullina, i russi dovranno pagare di più per avere di meno, mentre il nervosismo per la condizione industriale del paese non viene più nascosto neanche dal Cremlino. Nella prima riunione di governo dell’anno Vladimir Putin ha rimproverato il ministro dell’Industria e del commercio Denis Manturov, accusandolo di ritardi burocratici nell'ordinare aerei civili e militari. Manturov stava spiegando difficoltà e lungaggini nella “sostituzione delle importazioni“ nel campo dell’aviazione militare e civile (che rimane a galla solo per il crollo del traffico aereo). “No, fallo entro un mese, non capisci in che situazione ci troviamo?” ha ordinato Putin, “bisogna farlo tra un mese, non oltre!”. Ma l’unica certezza per Mosca è che tra un mese “l’operazione militare speciale” che doveva durare pochi giorni sarà vicina a compiere un anno.

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