sotto il Donbas

La lotta politica sul campo di battaglia di Bakhmut

Micol Flammini

Tra i tunnel e le cantine della città devastata, in cui la Wagner cerca il successo da portare al Cremlino, insieme al vino e a un nuovo (vecchio) nome 

La Russia considera la conquista della città ucraina di Bakhmut importante per raggiungere l’obiettivo di occupare tutta la regione orientale del Donbas. Attorno alla città l’area è contesa, gli ultimi feroci combattimenti sono stati a  Soledar, una cittadina a quindici chilometri da Bakhmut  che un tempo ospitava diecimila abitanti e ora –   come ha detto Volodymyr Zelensky – le sue strade sono coperte di cadaveri. Il presidente ucraino ha chiesto ai russi: “Cosa volete ottenere lì?”. E non è l’unico a dubitare del valore strategico della battaglia, che sta rivelando la testardaggine rovinosa e l’ossessione illogica di un gruppo di mercenari che, attraverso la conquista di Bakhmut, spera di dimostrare la sua superiorità rispetto  all’esercito regolare di Mosca. E’ uno scontro tra chi combatte, di cui gli ucraini ancora una volta fanno le spese, ma dietro al quale si nascondono le liti attorno al Cremlino, la scalata per arrivare più vicino all’orecchio e agli occhi di Vladimir Putin che vuole vedere dei risultati concreti. I mercenari che cercano di prendere Bakhmut sono gli uomini del gruppo Wagner, che risponde ai comandi di Evgeni Prigozhin.

 

La scorsa settimana, Prigozhin aveva ammesso che l’occupazione della città orientale era complicata, gli ucraini hanno creato centinaia di linee di difesa e ogni centimetro costa morti e feriti. Spesso si parla di Prigozhin come dell’uomo che potrebbe sfilare la presidenza a Putin, ma finora il capo della Wagner ha dimostrato piuttosto di essere sempre pronto a compiacere il presidente, e di essere pronto ad assecondarlo e accontentarlo meglio del ministro della Difesa, Sergei Shoigu, o del capo di stato maggiore, Valerij Gerasimov. Bakhmut sta costando molto ai russi e negli ultimi giorni Prigozhin ha dovuto spiegare la strategia dietro all’ossessione: anche questo è un segnale del fatto che sa di dover rendere conto a Putin. Ha spiegato che non è Bakhmut a interessarlo, ma quello che c’è sotto a Bakhmut, i tunnel e i sotterranei, le miniere di sale e di gesso che, secondo Prigozhin, sarebbero di alto valore militare. L’uomo che si è fatto strada come ristoratore, arrivando molto vicino a Putin, ha portato al fronte non soltanto i combattenti che la Wagner aveva addestrato da tempo, ma anche i prigionieri delle carceri. Sul campo di battaglia combatte una sua  personale lotta politica, tramite la quale vuole dimostrare a Putin che non è l’esercito regolare a fare la differenza in Ucraina, ma i suoi uomini. Gli insuccessi dei soldati russi vengono condannati e passati al setaccio, lo sforzo della Wagner viene elogiato e caldeggiato. Se Mosca riuscisse a occupare Bakhmut sarebbe il successo più significativo da mesi e sarebbe opera di un accanito gruppo di mercenari guidati dall’uomo che da anni si è lanciato alla conquista del capo del Cremlino. 

 

Sul terreno distrutto dell’Ucraina si combattono  le lotte politiche di Mosca, che hanno  cancellato anche  una delle fonti di ricchezza del paese che esisteva da decenni proprio lì, a Bakhmut. Era dai tempi dell’Unione sovietica che oltre alle miniere di sale e di gesso  l’industria del vino  animava l’economia della zona. Tra quei cunicoli e sotterranei che Prigozhin tiene tanto a portare in dono a Putin ci sono anche le cantine che dal 2014 soffrono per la guerra. La zona era famosa per i vini frizzanti,  durante l’Unione sovietica era ricercata per quello che viene chiamato lo shampanskoe vino, il nome viene da champagne ma non è da confondere con quello francese. Quando nel 2014 è iniziata la guerra del Donbas, i profitti dell’industria vinicola sono iniziati a diminuire soprattutto per la chiusura del mercato russo. L’altro grande problema era dove trovare l’uva con cui fare il vino. Quando l’Ucraina era un paese in pace, era la Crimea a rifornire  il 70 per cento di uva destinato ale cantine di Bakhmut, che fino al 2016 si chiamava Artemivsk (Artëmovsk in russo), dal nome dell’alleato di Stalin Fëdor Sergeev detto Artëm. A Sergeev erano anche dedicate una piazza e una statua, che, probabilmente, gli uomini di Prigozhin cercherebbero di rimettere al loro posto, qualora dovessero riuscire a prendere la città fantasma. Anche il nome di Bakhmut verrebbe cambiato di nuovo: la direttrice di Rt, Margarita Simonyan, ha già detto che non esiste nessuna Bakhmut, ma esiste Artëmovsk. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.