Foto di Silvia Izquierdo, AP Photo, via LaPresse 

equazioni complesse

Lula si insedia in Brasile, ma l'equilibrio del nuovo governo sembra già precario

Maurizio Stefanini

Il presidente rieletto per la terza volta ha composto un esecutivo che non scontenta nessuno. Ha spacchettato in quattro l'Economia e scelto tra i ministri anche suoi critici: da Simone Tebet, che lo ha accusato di corruzione, a Marina Silva. L’aspettativa è che voleranno scintille

Hanno pure imbalsamato il corpo di Pelé, per poter rinviare il funerale in modo da non interferire con la cerimonia di insediamento di Lula a Capodanno. A 77 anni, il “presidente operaio” ha iniziato il suo terzo mandato, a 12 anni di distanza dalla fine del secondo. È il presidente più a lungo al potere dopo Getúlio Vargas, che però finì suicida.  

 

Il Lula 3.0 è stato rieletto con il 50,9 per cento e un vantaggio di appena 2,1 milioni di voti. È la differenza più bassa dal ritorno dell’elezione presidenziale diretta nel 1989. Bolsonaro, pur perdendo, ha visto la sua coalizione ottenere un buon risultato per il Congresso, e ancora migliore per i governatori. Dopo i blocchi stradali fatti da suoi seguaci e la scoperta che alcuni di loro stavano preparando attentati, il presidente uscente ha invitato a accettare il risultato e ha condannato il terrorismo. Però se ne è poi andato negli Stati Uniti: in molti sospettano per prevenire un possibile arresto. Neanche il vicepresidente Hamilton Mourão ha voluto partecipare alla cerimonia, pur dopo aver lealmente collaborato alla transizione.

 

Alla fine la banda presidenziale a Lula l’ha passata un gruppo di personaggi dalla forte carica simbolica, tra cui una donna, un bambino nero, un disabile e il capo indio Raomni. “Il mio obiettivo è riscattare la povertà di 33 milioni di persone”, ha promesso. “La ruota dell’economia riprenderà a girare”. Durissimi gli attacchi al suo predecessore, definito “genocida” per la gestione della pandemia. In realtà, i dati economici che lascia Bolsonaro sarebbero positivi: inflazione sotto il 6 per cento, disoccupazione ai minimi dal 2015, per la prima volta in dieci anni un avanzo primario (pari a 6,46 miliardi di dollari). È vero che ci sono stati molti morti per il Covid, ma è falsa l’accusa che Lula ha formulato, secondo cui il Brasile avrebbe il record delle vittime in rapporto alla popolazione.  

 

Conseguenza della necessità di allargare al massimo la maggioranza, Lula ha aumentato il numero dei ministri da 23 a 37, appartenenti a ben 11 partiti. Imbarcando al centro e anche a destra, e con almeno una decina di inquisiti per varie accuse di corruzione. La gestione dell’economia, in particolare, è stata spaccata in quattro. Alle Finanze è andato Fernando Haddad: sconfitto da Bolsonaro alla presidenza nel 2018, e ora sconfitto anche come governatore di San Paolo. Alla Gestione e innovazione dei servizi pubblici va Esther Dweck: seguace di quella “teoria monetaria moderna” che sostiene politiche fiscali espansive per le quali né il debito né l’inflazione sono un problema.

 

Allo Sviluppo, industria e commercio va il vicepresidente Geraldo Alckmin: ex-governatore di San Paolo, Opus Dei, candidato del centro-destra nel 2006. Alla Pianificazione c’è Simone Tebet: candidata centrista che si è schierata con Lula dopo essere arrivata terza al primo turno, e averlo accusato di corruzione in tv (oltre ad aver votato per quella destituzione di Dilma Rousseff che Lula definisce “golpe”). L’aspettativa è che voleranno scintille, anche perché Lula ha già fatto votare al Congresso provvedimenti di spesa a tutto spiano che hanno depresso la Borsa.    

 

All’Ambiente c’è Marina Silva: già ministra dell’Ambiente di Lula durante il suo primo mandato, ma in seguito sua critica durissima. E ci sono due ministri del partito che ha eletto senatore Sérgio Moro: il pm che dopo aver mandato Lula in galera aveva fatto da ministro della Giustizia a Bolsonaro. Una india è andata al nuovo ministero dei Popoli Originari e una cantante al ripristinato ministero della Cultura. 

 

Insomma, ci si aspettano grossi sforzi di equilibrismo. Un assaggio lo si è avuto all’insediamento, con la spinosa questione di alcuni ospiti stranieri. Bolsonaro ad esempio, aveva all’ultimo momento tolto il divieto all’ingresso del presidente venzuelano Maduro, ma questo sta ancora nella lista nera dei narcos del Tesoro degli Stati Uniti, chi avesse rifornito il suo aereo avrebbe rischiato sanzioni, e dunque alla fine non è andato. Si è fatto rappresentare dal presidente dell’Assemblea Nazionale Jorge Rodríguez, capo della delegazione che in Messico sta negoziando con l’opposizione.

 

Lula è anche uno storico sostenitore dell’asse Brics, ma a sua volta Putin gli ha risparmiato imbarazzi, mandando al suo posto la presidente del Senato Valentina Matviyenko. Già incorso nelle ire di Zelensky per averlo definito in una intervista “altrettanto responsabile della guerra di Putin”, Lula ha tenuto a incontrare separatamente la delegazione russa e quella ucraina, esprimendo a entrambe il desiderio “che le parti trovino presto un terreno comune per porre fine al conflitto”.

Di più su questi argomenti: