Il dibattito sull'Holodomor rischia di essere sacrificato dal voto parlamentare

Fernando D'Aniello

Genocidio o crimine contro l’umanità? Entrambe le definizioni non pregiudicano la centralità che la carestia pansovietica del 1930-1933 merita di assumere nel discorso pubblico continentale. La guerra impone anche una revisione della politica della memoria e dell’elaborazione del passato

Mercoledì 31 novembre il Bundestag ha discusso e approvato una mozione riconoscendo l’Holodomor in Ucraina come “Völkermord”, genocidio. Il Parlamento tedesco considera lo specifico uso antiucraino della carestia pansovietica del 1930-1933, scatenata dalla collettivizzazione forzata: l’Holodomor diventa così il mezzo per distruggere il fondamento della nazione ucraina tra la fine del 1932 e l’estate del 1933. La mozione era sottoscritta dai partiti di maggioranza e dai conservatori di Cdu e Csu, senza voti contrari ma con l’astensione di AfD e Linke. Si chiede, inoltre, di “continuare a fornire sostegno politico, finanziario, umanitario e militare all’Ucraina vittima della guerra di aggressione della Russia”.

    
Fino a qualche anno fa una simile valutazione dell’Holodomor era stata evitata da governo e Parlamento e la stessa commissione di storici tedeschi e ucraini aveva, a maggioranza, evitato la qualificazione di “genocidio” preferendo quella di “crimine contro l’umanità”. Da sottolineare la polemica di questi giorni tra Andreiy Melnyk, ex ambasciatore ucraino in Germania, e il professor Martin Schulze Wessel, portavoce tedesco della commissione. Con il primo che ha pubblicato su Twitter la lettera che il secondo gli inviò nel 2019 per sottolineare la contrarietà a qualificare l’Holodomor come genocidio.

   
Tra gli storici tedeschi nessuno contesta la gravità e la specificità dell’Holodomor. Tuttavia, per la ricerca storica – stante la tesi dell’unicità dell’Olocausto, ribadita dalla mozione – non è indifferente se si trattò di genocidio vero e proprio – condotto, cioè, con l’esplicito obiettivo di sradicare la nazione ucraina, tesi assunta dal Bundestag (“lo scopo dell’uccisione di massa attraverso la fame era la soppressione politica della coscienza nazionale ucraina”) – o di un crimine contro l’umanità motivato dalle ragioni più ignobili e perverse. Non è una questione di “classifica” – è più grave un genocidio o un crimine contro l’umanità? – ma si tratta di capire quale delle due definizioni si presti meglio a chiarire l’Holodomor nella storia del Novecento europeo.

 
Il punto vero è, però, un altro: entrambe le definizioni non pregiudicano la centralità che l’Holodomor merita di assumere nel discorso pubblico continentale.

 
Nella mozione del Bundestag si legge: “Sino a oggi in Germania e nell’Unione europea, l’Holodomor è conosciuto solo da poche persone. […] L’Holodomor è parte della nostra storia comune come europee ed europei”. Il Parlamento tedesco anticipa così un problema che non è sfuggito agli storici tedeschi negli ultimi anni: la memoria dell’Europa così come l’immagine che l’Europa ha di sé sarà, dopo il 24 febbraio scorso, costituita anche a partire dall’Holodomor come evento e, soprattutto, dalla sua negazione.

 
La guerra, spostando l’equilibrio politico continentale a est, impone anche una revisione della politica della memoria e dell’elaborazione del passato. Non sorprende, dunque, che sia proprio la Germania, che da tempo ha affiancato all’elaborazione del passato nazista anche quella del regime della Sed, a compiere adesso questo passaggio ulteriore.

  
Anche per la guerra ancora in corso, però, la discussione storica viene condotta su un piano emotivo che non aiuta la messa a fuoco del problema. La stessa mozione cita più volte proprio Putin: “La chiusura dell’organizzazione per i diritti umani e civili Memorial International, per l’elaborazione dei crimini sovietici, ordinata da un tribunale alla fine del 2021, sottolinea l’ideologia revisionista della politica storica russa”. Un revisionismo che rappresenta la vera differenza tra l’Unione sovietica e la Russia di Putin e che pregiudica ogni possibilità di cooperazione, come ha sottolineato lo storico Andreas Wirsching.

 
Non si può negare che il riconoscimento istituzionale di alcune tragedie rischia di politicizzare la discussione sul passato che non aiuta né la loro elaborazione nella sfera pubblica né la loro analisi storica. Società plurali come le nostre hanno anche una pluralità di memorie e non è detto che incoraggiarne questa “parlamentarizzazione” aiuti la condivisione e la stessa fiducia nella democrazia. Come per l’Holodomor nei decenni passati, le comunità all’estero giocano un ruolo rilevantissimo nel tenere alta l’attenzione su questi crimini. Il rischio è che ci si concentri su tali iniziative, con i pericoli di politicizzazione che ne conseguono: è davvero una buona idea che la memoria sia codificata da un voto parlamentare?

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