in ucraina
L'intelligence di Kyiv si chiede: cosa vuole Putin dopo il ritiro da Kherson?
Un cecchino ucraino a Kherson e un colonnello dell'intelligence ci spiegano le mosse russe. Trappole e negoziati
“Se ne stanno andando davvero, questa non è una farsa. Noi avanziamo e loro si ritirano sull’altra sponda del Dnipro, la sponda est”, dice al Foglio Andriy Pidlisny, un cecchino capitano delle Forze armate ucraine. La sua squadra si muove per i sentieri fangosi che scendono in parallelo alla superstrada M14 che collega la città di Mykolaïv a Kherson. “Non posso dire quanti russi ci siano ancora, ma almeno sette villaggi sono stati liberati da me personalmente”, ci dice il capitano mentre dall’annuncio del ritiro pronunciato a Mosca non sono passate neanche ventiquattro ore. Cosa vogliono i russi? “Questo è il punto”.
“Un obiettivo è scontato: vogliono ricevere meno bombe e proiettili d’artiglieria, vogliono evitare un numero insostenibile di perdite durante il prossimo inverno. Ma non mi fido che si fermino a questo, è una rinuncia troppo grande”. Kherson è parte del corridoio tra il Donbas e la Crimea, è il punto sul fiume da cui si regola il flusso di acqua potabile che serve a dissetare quattro milioni di persone che abitano nella penisola occupata (prenderne il controllo era considerato uno degli obiettivi minimi dell’invasione), è una città russofona ed è l’unica integra, l’unica che i russi abbiano conquistato senza prima distruggerla. Mariupol è il simbolo di un’apocalisse più che di un successo: fino a due giorni fa Kherson era il più prezioso tra i bottini di guerra. “Infatti Mosca aveva piazzato a tutela della città tra i venti e i trentamila uomini, ma soprattutto le truppe d’élite, i paracadutisti, i pochi che sanno davvero combattere tra quelli che il Cremlino ha ancora a disposizione”, dice al Foglio Roman Kostenko, colonnello dell’Sbu, l’intelligence di Kyiv. E’ per aver concentrato i propri soldati scelti a Kherson che due mesi fa, all’inizio di settembre, la Russia ha perso in pochi giorni il controllo di tutta la provincia di Kharkiv, nel nord est, durante la controffensiva ucraina che ha cambiato la direzione della guerra. Anche Kostenko conferma che il ritiro “si vede a occhio nudo”.
Gli ucraini, sparando da lontano con gli Himars americani, hanno abbattuto i ponti e tagliato le linee di rifornimento delle truppe di occupazione: i generali di Vladimir Putin sapevano che era una condizione insostenibile. Il fiume Dnipro si allarga alla foce, all’altezza di Kherson, fino a raggiungere una distanza di 350 chilometri tra una sponda e l’altra, risalendolo verso nord forma un bacino d’acqua spesso, con una superficie di più di duemila chilometri quadrati, che arriva fino all’altezza di Zhaporizhzhia: è una barriera d’acqua impossibile da affrontare per le truppe di Kyiv e lì i berretti azzurri dell’aviazione russa saranno al sicuro e potranno riorganizzarsi.
Il ritiro è logico e allo stesso tempo clamoroso. I russi si erano già ritirati da Kyiv, ma avevano giustificato la disfatta dicendo che i carri armati in direzione della capitale non erano altro che una “distrazione” per l’esercito ucraino, per tenerlo lontano dal vero obiettivo: il Donbas. Allora avevano detto: “Sta andando tutto secondo i piani di Mosca”. A settembre erano scappati da Kharkiv ma, ufficialmente, avevano presentato il fatto come un “riposizionamento di truppe” intenzionale e strategico. Le parole pronunciate dal ministro della Difesa Shoigu e dal generale Surovikin su Kherson sono un’ammissione di debolezza senza tentativi di mistificazione.
Anche per questo tono insolito né il cecchino Pidlisny né il colonnello dell’intelligence Kostenko si fidano. Non c’è solo la paura che i russi, una volta che il ritiro sarà eventualmente completato, si riprendano dall’umiliazione con una vendetta: sommergendo decine di villaggi e un pezzo di città bombardando la diga di Nova Kakhovka, a est di Kherson, come ha paventato ieri il presidente Volodymyr Zelensky. C’è un timore più sottile: che il presidente russo Putin, che ora si dice pronto a un negoziato di pace, stia ingannando tutti e preparando una riorganizzazione funzionale a un nuovo agguato. Per Kostenko “è una cosa possibile sia nella oblast di Zhaporizhzhia che nel nord del paese”, dove le temperature, il ghiaccio duro invece della neve, gli permetterebbero di tentare un’avanzata anche questo inverno, come a febbraio scorso. Gli ucraini vogliono vedere cosa succede sul campo prima di credere a un’altra ipotesi che piace agli alleati di Kyiv: Putin ha capito i limiti fisici della sua “operazione speciale”, Kherson è il primo passo di un negoziato.