Foto di Matt Rourke, via LaPresse 

Stati Uniti al voto

Biden è un doppio argine: contro il trumpismo e il wokismo

Giuliano Ferrara

Le elezioni di midterm in America ci avvertono che nella politica statunitense c'è una conseguenza da evitare: la retorica liberal, nel tentativo di arginare i successori, con più cervello, di Donald Trump

Ora tutti più contenti. Il pietoso e rutilante Trump, eroe della delinquenza travestita da rivolta sociale, ha nei risultati elettorali e in Ron DeSantis, governatore della Florida, due inciampi mica male sulla strada delle sue folli ambizioni. Forse Joe Biden se la cava per il rotto della cuffia al Senato e alla Camera dei rappresentanti ha margini di manovra anche se andrà sotto di qualche seggio. L’ondata demagogica non c’è stata, sebbene duecento trumpiani impegnati nella demenziale negazione dei risultati del voto siano entrati nel Congresso. I formidabili comizi di Barack Obama hanno garantito la Pennsylvania al Crosetto tatuato e progressista Fetterman, uno stangone che ha subìto un ictus e parla con difficoltà ma ha travolto un trumpino sornione e televisivo del New Jersey col nome di un celebre mago, Mehmet Oz.

 

Il richiamo del presidente alla difesa della democrazia, insieme con l’incredibile trasformazione dell’aborto in servizio sociale garantito, come il sussidio o il bonus zanzariere o il Medicare, al quale l’opinione è ormai affezionata come a un aborto di cittadinanza, ha avuto il suo effetto. Da sempre stupidamente sottovalutato, il cittadino Joe dei liberal ha tenuto botta con un’inflazione che al supermercato morde le famiglie, in nome di una difesa democratica che non sempre si monetizza (it’s the economy, stupid). E questo depone a sfavore delle voglie del cuoco di Putin, vanitoso nell’interferenza cibernetica, e di Putin stesso, finalmente non così restio al negoziato dopo una solida razione di Himars. Con una riserva non da poco, che non ci fa tutti egualmente contenti. Biden ha indicato nella destra trumpiana, nelle sue fantasie morbose, nella sua demenziale e deplorabile voglia di guerra civile, l’attacco alle istituzioni della Repubblica americana, sostegno e faro delle altre in occidente, come si è visto all’atto pratico, dopo l’invasione dell’Ucraina. Obama gli ha fatto eco. Buon risultato.

 

Ma l’attacco alla democrazia liberale procede su due fronti, e questo né Biden né Obama sono in grado di affermarlo, sebbene sia indiscutibilmente vero e determini un circolo vizioso obamismo-trumpismo che è stato saggiato in modo consequenziale quando il peggiore si è sostituito al “migliore” e quando una lunga e tortuosa stagione di inazione liberal, leading from behind, ha dato il via all’azione russa in Europa.

 

Il wokismo è nemico della democrazia liberale e dello stato di diritto quasi allo stesso titolo del trumpismo. Quelli che vogliono radicare l’insegnamento della teoria gender nelle scuole non sono democratici. Quelli che in nome dell’affirmative action procedono in una logica di esclusione e marginalizzazione della classe lavoratrice bianca non sono democratici. Quelli che teorizzano il giustizialismo fiscale e negano autonomia individuale e sogno alla corsa alla mobilità sociale non sono democratici. Quelli che vogliono definanziare la polizia in nome del sacrosanto diritto all’integrità della vita dei neri non sono democratici. Quelli che uccidono la libertà di parola e di pensiero nei campus in nome della cancel culture non sono democratici. Non lo sono nel senso liberale che è complemento essenziale di una democrazia fondata sul diritto eguale e sulla tenuta dei fondamenti della Costituzione scritta più antica e solida del mondo.

 

Lo vediamo anche da noi. Che cosa ci sia di democratico e di liberale nelle posizioni criptoputiniane del pacifismo della resa e dell’abbandono dell’Ucraina al suo destino blindato, che cosa nell’antiamericanismo ossessivo e nella snaturante campagna contro la Nato e l’Alleanza atlantica, che cosa ci sia di demoliberale nel #MeToo e in altre radicalizzazioni di timbro psicologico e morale, nella totale indifferenza al tema dell’insicurezza, non è dato di sapere. Poco, direi. E questo lascia, passato che sia (e ancora c’è da lavorarci) il fenomeno derelitto del trumpismo, la parola ai suoi continuatori, Trump with a brain, dicono di DeSantis, e emuli, magari meno osceni e divertenti, ma al fondo altrettanto minacciosi.

 

Che l’obamismo nella versione pragmatica e popolare di Biden abbia fronteggiato un voto di midterm da sempre ostile al presidente in carica, va bene, molto bene, e che alla guida dei democratici americani resti un professionista della politica con caratteristiche personali forti e fortemente moderate, va bene. A condizione che determini una riflessione seria sui rischi del sistema e delle istituzioni, dai due lati della medaglia, e non il rilancio di una fumosa retorica liberal di cui l’America trumpizzata è stata la prima vittima, e noi pezzo di mondo a seguire la seconda.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.