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il nuovo leader dei tory

Le parole chiave di Sunak, il primo premier non bianco del tormentato Regno Unito

Paola Peduzzi

Integrità, umiltà e unità dei conservatori. 42 anni, origini indiane e Oxford: la sua ricchezza è già un problema

Rishi Sunak è il nuovo primo ministro britannico, il terzo da quando ci sono state le ultime elezioni (nel 2019) e il quinto da quando è stato votato il referendum sulla Brexit (nel 2016), il più giovane –  ha  42 anni – dal 1812, il primo non bianco e, forse, il più ricco di sempre. Sunak è di  origini indiane (i suoi genitori in realtà sono nati in Africa da genitori del Punjab), è nato  a Southampton, ha frequentato scuole private e Oxford, ha lavorato per Goldman Sachs ed è  sposato con Akshata Murthy, rampolla di una delle famiglie più ricche d’India: la sua ricchezza è già un problema, tanto che l’ex direttore del Financial Times Lionel Barber ha scritto che questo è “il momento Obama” del Regno Unito, godiamocelo e non cerchiamo di affossarlo subito, “ha bisogno di tanta fortuna”. L’ex premier David Cameron, che lo aveva fatto lavorare nel suo governo, ieri ha rivendicato il fatto di aver detto per primo, anni fa, che i conservatori sarebbero riusciti a eleggere il primo premier di origini indiane, e pazienza se in realtà Sunak gli fu esplicitamente ostile essendo lui, a differenza di Cameron, un sostenitore della Brexit. 

 

L’ascesa di Sunak è legata a Boris Johnson, che lo ha nominato cancelliere dello Scacchiere nel febbraio del 2020 alla vigilia della pandemia, e  a Dominic Cummings, l’architetto della Brexit e poi della  vittoria elettorale del 2019 che ancora oggi garantisce ai Tory un’enorme maggioranza ai Comuni. Quando si è interrotto il rapporto tra Cummings e Johnson – male, con gli scatoloni in mano e poi con una campagna vendicativa orchestrata dall’ex consigliere furioso –  per Sunak sono cominciate le scelte: era la fine del 2020, il 2021 è stato scandito dal Covid, l’asse tra Johnson e Sunak ha retto anzi, nello scandalo del partygate è coinvolto anche l’ex cancelliere (ha pagato una multa), ma poi nel 2022 le cose sono precipitate. Mentre Johnson perdeva credibilità invischiato negli scandali, Sunak emergeva come un’alternativa calma e rassicurante del premier: questa percezione era un pochino manipolata, perché l’ex cancelliere era finito in uno scandalo di tasse non pagate (dalla moglie) che normalmente sarebbe stato più ammazza-carriera di qualche festino con il vino sui muri. Invece Sunak ne è uscito come l’alternativa moderata, composta e credibile a Johnson: quando c’è stato da affossare l’ex premier poi, Sunak non si è tirato indietro, mostrando l’istinto killer che alla politica britannica piace molto e anzi le sue dimissioni determinarono il crollo della premiership di Johnson e le successive primarie dello scorso agosto. Nei piani di Sunak, quello era l’inizio del tragitto verso Downing Street: anche i parlamentari conservatori ne erano convinti, ma la base dei Tory si infatuò di Liz Truss (complice anche i johnsoniani, molto influenti tra gli iscritti del Partito conservatore) e delle sue promesse  azzardate e ideologiche. Sembrava che per Sunak fosse finita. Ma la Truss ha stravolto ogni cosa, sui mercati, nel governo, nel partito, a una velocità invero imprevista e si è riaperta la guerra tra Sunak e Johnson. L’ex premier è tornato di fretta dalla vacanza caraibica e ha cercato di convincere il proprio ex cancelliere a ritirarsi. La gestione dell’incontro è stata descritta così da un conservatore: “Pareva di dover organizzare l’accoppiamento tra due panda”.

 

Poi Sunak è riuscito a far fare a Johnson quello che inizialmente Johnson pretendeva da lui: ritirarsi. E così il piano dell’ex cancelliere e forse di Cummings si è compiuto. Fino a quando non si sa. Il mandato popolare al momento esistente è di Johnson: lui lo ha rivendicato brandendolo come uno scettro per riprendere il dominio del partito e ha esagerato, ma la questione della rappresentanza esiste, eccome. Così come esiste il fatto che Johnson è uno dei conservatori più popolari di sempre, e quindi in prospettiva utile se la grande campagna laburista per il voto anticipato dovesse avere successo. La scelta che hanno avuto i Tory in questi pochi giorni era di fatto questa: aggiustare l’immagine internazionale o pensare a vincere le prossime elezioni. S’è scelta la prima, più urgente e necessaria, ma è evidente che in vista della seconda, il potere di Johnson resta grande.

 

Ora Rishi Sunak deve occuparsi di rimettere in piedi la credibilità e la progettualità britannica in vista dell’inverno del discontento. La fine rapida della Truss è già di per sé il suo riscatto: Sunak ha passato l’estate a dire che le proposte della ex premier avrebbero portato il Regno Unito sull’orlo del precipizio. Aveva ragione. Ieri nel suo breve incontro con il partito ha detto che la sua parola d’ordine è: unità e dopo, in un breve e un po’ robotico discorso, ha fissato altre due parole che vuole assimilare alla sua leadership: integrità e umiltà. In questo modo, e sperando nella memoria corta degli elettori,  i conservatori possono recuperare la fiducia interna e scongiurare l’assalto del Labour, che nell’ultima settimana ha registrato sondaggi record con un distacco di trenta punti percentuali e con una superiorità evidente anche nelle circoscrizioni del “red wall” diventate conservatrici nel 2019, che insiste sulla necessità di votare subito. Piuttosto che sottoporsi a un’elezione i Tory sono disposti a tutto, forse persino a unirsi: ieri molti parlamentari sembravano sollevati, i rancorosi non si sono fatti sentire, i johnsoniani si sono riposizionati arrivando anche a negare il sostegno a Penny Mourdant, che voleva contendersi di nuovo la leadership del partito. Mentre si aspettano i nomi del prossimo governo, in particolare quello del cancelliere dello Scacchiere  – da pochi giorni l’incarico è ricoperto da Jeremy Hunt, anche lui considerato un possibile unificatore del partito – Carlo III è tornato a Londra, molti ironizzano sul fatto che a questo ritmo incontrerà più premier di sua madre Elisabetta, e altri invece sono contenti che non ci sarà una votazione online per definire il prossimo leader inglese: gli hacker russi e cinesi erano già pronti, visto che Sunak è falco sia con Mosca sia con Pechino, ma questo vale per gran parte dell’establishment conservatore britannico.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi