festa di compleanno

Vladimir Putin non è mai cambiato

Micol Flammini

I settant’anni dell’immutabile presidente russo, che ora riceve pochi regali (a parte le preghiere di Kirill) e che ha sempre scelto  di inasprire i conflitti. La rincorsa verso la sconfitta

Il 7 ottobre è sempre un doppio anniversario in Russia: è il compleanno del presidente Vladimir Putin e la ricorrenza della morte della giornalista Anna Politkovskaja. Il primo ieri ha compiuto 70 anni e dalla morte della seconda ne sono trascorsi invece sedici. Chi le sparò nell’ascensore del suo condominio – Politkovskaja  stava tornando a casa – ha legato per sempre, l’una all’altra, le due ricorrenze. Nel giorno del compleanno del presidente, la Russia era abituata a festeggiare, il 7 ottobre scorreva con profluvi di auguri, lotterie, regali, telefonate. Quest’anno il presidente ha passato la giornata lavorando, in compagnia di alcuni dei leader della Comunità degli stati indipendenti, primo tra tutti il dittatore bielorusso, Aljaksandr Lukashenka, l’unico che continua a non prendere le distanze e neppure accenna a farlo e che gli ha regalato il certificato di un trattore. Tra i leader e politici regionali soltanto Ramzan Kadyrov gli ha promesso corse di cavalli e l’inaugurazione di un nuovo centro di judo, altri governatori non hanno promosso molto e il Cremlino non ha neppure dato istruzioni su come festeggiare il presidente. Il patriarca di Mosca Kirill invece ha chiesto ai fedeli di pregare per “la salute del presidente”. Il regalo più degno di nota lo ha ricevuto da un artista di San Pietroburgo che ha esposto un quadro di due metri per due che rappresenta Putin intento ad abbracciare un cucciolo di cane: il fine, ha raccontato il pittore, era mostrare il presidente come “un eroe di semplici storie umane”. Quando Putin era un agente del Kgb mandato a Dresda, era abituato che il suo compleanno coincidesse con la festa nazionale della Repubblica democratica tedesca, i suoi festeggiamenti si perdevano con quelli della Ddr. 

 

Osservare questi settant’anni di Putin serve ad avere ben chiara l’immagine di un uomo che nella vita non è mai cambiato e c’è da attendersi che in questa guerra Putin l’immutabile sceglierà quello che ha sempre scelto finora: l’inasprimento del conflitto.  Da un lato il presidente russo attende che arrivi l’inverno nella speranza che i paesi che finora hanno portato sostegno economico e militare all’Ucraina, oberati dalle difficoltà finanziarie e  sociali, diminuiscano la loro solidarietà, spingendo Kyiv ad accettare un negoziato che preveda la cessione di parte del suo territorio alla Russia. Finora di calcoli il Cremlino ne ha sbagliati parecchi e mentre punta tutto sull’attesa e  bombarda le città ucraine,  l’esercito di Volodymyr Zelensky avanza. Dall’altro, dicono alcuni suoi collaboratori che hanno parlato con la stampa russa, il presidente è ancora convinto di non aver sbagliato nulla. In settant’anni, ventidue al Cremlino, Putin ha sempre puntato a ottenere i suoi risultati aumentando la tensione. In Ucraina lo aveva già fatto nel 2014 quando, dopo aver organizzato il referendum farsa in Crimea, ha aizzato anche una guerra nella regione del Donbas. Sul fronte interno, il trattamento riservato all’oppositore russo Alexei Navalny, prima avvelenato, poi rinchiuso in una colonia penale, è parso spropositato anche per i suoi canoni: Navalny non si sarebbe neppure mai potuto candidare. 

 

Putin ha iniziato una rincorsa contro la sconfitta che si sta traducendo in una spirale di violenza senza obiettivi. I suoi lo contestano, il Washington Post ha pubblicato un’esclusiva in cui racconta di uno suo stretto funzionario che gli rimprovera di aver sbagliato tutto, e attorno a lui si è animata una lotta tra vertici militari pericolosa anche per la sicurezza della stessa Russia, ma lui ha scelto: minaccia l’uso di armi nucleari, firma annessioni, costringe i russi ad andare in guerra. E, come il 24 febbraio, è convinto che ci sia un solo modo per far finire il conflitto: la resa ucraina. 

 

L’analista russa Tatiana Stanovaya definisce la linea d’azione del presidente “maniacale” e con “un sapore distinto e amaro di esasperazione suicida”. La sconfitta è un muro che Putin neppure vede. Molti di coloro che gli sono attorno invece sembrano vedere come gli cresce davanti agli occhi quel muro. Qualcuno, meno di disilluso degli altri, ha visto come veniva su nei ventidue anni della sua presenza al Cremlino. Anna Politkovskaja era tra i pochi che lo aveva scorto da molto lontano, mattone dopo mattone. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.