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La politica alimentare italiana è schiava delle fake news ambientaliste

Fabio Bogo

Come insegna il blocco di Putin sui porti del Mar Nero, l'eccessiva dipendenza da un’economia estera sul fronte cibo è pericolosa. Mauro Agnoletti: "Ricominciamo a produrre grano, non lasciamo che poche multinazionali decidano i prezzi (e speculino) e mettiamo l'acqua nei tubi, come con il gas"

Il prezzo abnorme del gas? Non è la sola conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina. Putin ha cercato di strozzare l’Europa anche sul fronte alimentare, bloccando il grano in partenza dai porti sul Mar Nero, provocando per qualche tempo carenza di prodotto e costi impazziti per i produttori di pasta e per i distributori di mangimi animali.

 

 L’emergenza è poi parzialmente rientrata, con andamento sussultorio provocato da nuove intermittenti minacce russe. Ma la lezione è stata chiara: l’eccessiva dipendenza - anche alimentare - di un’economia dall’estero è pericolosa. Dobbiamo avere delle aree tampone. Mauro Agnoletti è il massimo esperto italiano di pianificazione del paesaggio agricolo e ha da poco ottenuto dall’Unesco una cattedra per insegnare conservazione e valorizzazione del patrimonio rurale. Sul tema alimentare usa sillogismi drastici. “L’italia ha abbandonato nel corso degli anni 10 milioni di ettari di aree agricole e importa grano dall’estero per compensare quello che non produce più. Così se la Russia blocca quello ucraino non abbiamo più la pasta e non diamo da mangiare agli animali: il paese ha deciso di farsi del male da solo. Sarebbe comico, se non fosse  tragico”.

E allora che fare? Beh, magari ricominciare a produrlo il grano, invece di trasformare in rigatoni quello canadese o ucraino. “Ce la possiamo fare”, dice, “basta recuperare 1,5 milioni di ettari abbandonati o mangiati dalla boscaglia per avere l’autosufficienza sul fronte dei cereali. Autosufficienza che è importante: perché oggi è la crisi ucraina, domani magari è la siccità in Asia o Africa, oppure un evento climatico estremo in Usa o Canada e siamo in difficoltà”. Toglieteci tutto, insomma, ma gli spaghetti no. E basta con le fake news e l’ambientalismo di maniera, che vive in un mondo onirico dove la natura da sola crea l’equilibrio.

Agnoletti, cominciamo con le fake news. “Allora iniziamo dalla siccità. Che ci sia meno acqua è vero, ma non in tutta l’Italia. In Toscana  le falde acquifere hanno tenuto, ad esempio. Quando si drammatizza la siccità si guarda alla Pianura Padana, che copre il 23% del territorio ma consuma il 70-80% dell’acqua disponibile per la produzione agricola. Questo perché si è scelta la strada dell’agricoltura intensiva. Perchè si vuole a tutti i costi produrre 50 quintali di grano l’anno. Se ci si accontenta di farne di meno, 20 o 30 quintali, e si riprende a coltivare in collina, l’acqua non è più un problema. L’agricoltura intensiva ha bisogno di energia, risorse idriche, meccanizzazione, più concimi. Rende di più ma fa più danni: maggiori emissioni di C02, maggiore spreco idrico”.

Ma la piccola agricoltura è redditizia per i produttori? “Servono più incentivi,  ma si hanno comunque produzioni di qualità. E la qualità italiana ha un mercato. E per questo non dobbiamo lasciare che poche multinazionali decidano i prezzi, spesso speculando, e mettano in ginocchio i piccoli produttori rifiutando di acquistare il loro grano. Anche per questo strapotere il 64% delle aree agricole sono in stagnazione o recessione. E non abbiamo più mucche e meno maiali. Così il latte lo compriamo da fuori, e la materia prima del prosciutto arriva dalla Polonia. L’Italia sta diventando un  paese di trasformazione. Anche sull’olio la Spagna ci ha superato”. Altre fake? “Che l’acqua stia finendo sul pianeta. Non è vero, noi usiamo la minima parte di quella che c’è sul pianeta. Serve acqua alla pianura? Costruiamo dissalatori lungo la costa, Come fanno in Israele o in Arabia Saudita.

L’acqua è come il gas, produciamola e mettiamola nei tubi. E poi ripristiniamo i bacini idrici, oggi un terzo di loro è fuori uso per assenza di manutenzione”. Altre fake? “Si, legate all’ambientalismo di maniera. I terreni agricoli spariscono e avanza il bosco. E mentre qualcuno ulula alla deforestazione, la realtà dice che i boschi italiani sono raddoppiati in estensione, e si sono mangiati 6 milioni di ettari che erano agricoli. Siamo pieni di legna, e come per il grano decidiamo di farci del male, visto che importiamo l’85% del legname che usiamo. E mentre il bosco ci invade importiamo i pellet per le stufe, il cui prezzo per la speculazione è raddoppiato. Io dico: curiamo il bosco e tagliamolo quando serve, e riprendiamo a coltivare. Anche la Coldiretti si è schierata a favore della produzione in zone collinari o pedemontane. Così si difende anche il territorio e si riduce l’urbanizzazione selvaggia”. Ma quelli che difendono il bosco a tutti i costi sostengono che questo protegge il territorio. “Altra fake dell’ambientalismo di maniera. Il territorio lo difende l’uomo, se lo abita e lo cura, come insegna  il recente disastro nelle Marche. Sono cresciuti i boschi? Bene, le risulta che siano diminuite le frane o i dissesti idrogeologici?  Neanche per sogno. Ci pensino gli estremisti della natura”

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