La guerra delle dinastie

Chi è Ruto, il nuovo presidente del Kenya

Maurizio Stefanini

Parte dalla sua infanzia scalza per definirsi un “hustler”, “traffichino” come tanti kenyani poveri che si arrabattano per vivere con lavori informali. Ha come simbolo elettorale una carriola e emoziona le folle che accorrono ai suoi comizi

Il “traffichino” che andava a scuola a piedi nudi, mise il primo paio di scarpe a 15 anni, da piccolo vendeva polli e arachidi in strada, ed è poi diventato uno dei più facoltosi coltivatori di mais del Kenya, ora è diventato presidente, dopo una campagna contro le due “dinastie” politiche che avevano retto il paese dall’indipendenza. Il presidente della Commissione elettorale Wafula Chebukati ha proclamato infatti vincitore del voto del 9 agosto il vicepresidente uscente William Ruto con 7,18 milioni di voti, pari al 50,49 per cento, contro 6,94 milioni (48,85) del suo rivale, Raila Odinga. Gli Odinga sono appunto una delle due dinastie, assieme a quella del presidente uscente Uhuru Kenyatta, figlio del padre della patria Jomo. Prima alleato di Ruto, ma in questa campagna con Odinga, già capo della opposizione contro di lui.

 

Dà l’idea di una democrazia dove il dibattito è vivace, ma che al potere ci si alterna. Cosa non scontata in Africa. Ma questa democrazia “vivace” degenera spesso in rissa. Odinga ha infatti detto che non accetta il risultato, dopo che anche quattro membri della Commissione lo avevano rifiutato. “Non possiamo assumerci la responsabilità del risultato che sarà annunciato”, ha detto ai giornalisti il vice presidente della Commissione Juliana Cherera.

 

Non è la prima volta che un voto viene contestato. Nel 2007, quando Ruto aveva sostenuto l’anche allora capo dell’opposizione Odinga e Kenyatta si era invece schierato con l'allora presidente Mwai Kibaki nella sua candidatura per la rielezione, le contestazioni erano degenerate in una mini-guerra civile che aveva fatto almeno 1.200 vittime, costringendone altre 600 mila a fuggire dalle loro case. Allora la situazione era stata risolta reintroducendo per Odinga una carica da primo ministro che durò solo fino alle elezioni successive, purché in cambio accettasse Kibaki presidente.

 

Poiché Ruto e Kenyatta erano finiti addirittura sotto accusa della Corte penale internazionale come fautori della violenza nei due bandi opposti, a loro volta nel 2013 si candidarono assieme, Kenyatta presidente e Ruto vice: un'accoppiata improbabile confermata nel 2017, ma ora di nuovo su fronti opposti. Kenyatta ha detto che Ruto era “inaffidabile”; Ruto che Odinga sarebbe stato il suo “pupazzo”.

 

Insomma, Ruto parte dalla sua infanzia scalza per definirsi un “hustler”, “traffichino” come tanti kenyani poveri che si arrabattano per vivere con lavori informali. Ha come simbolo elettorale una carriola. Emoziona le folle che accorrono ai suoi comizi, iniziando i discorsi con un “amico mio”. Ma malgrado la sua retorica è tutt’altro che estraneo ai circuiti del poteri, e prima di essere vicepresidente era stato ministro varie volte. Ci sono pure sospetti sulla sua fortuna, e nel giugno 2013 l'Alta corte gli ordinò di riconsegnare una fattoria di 40 ettari e di risarcire un agricoltore che lo aveva accusato di aversela accaparrata durante le violenze post elettorali del 2007. Odinga infatti ha condotto la sua campagna con slogan contro la corruzione: ma è alleato a una famiglia Kenyatta cui i Pandora Papers hanno attribuito una fortuna imboscata offshore da almeno 30 milioni di dollari.

 

Ruto, guerra alle dinastie a parte, ha promesso di tutto: sanità gratis, aiuti alle imprese, reddito di cittadinanza. In un paese dove il tasso ufficiale di disoccupazione tra i 18 ei 34 anni è quasi del 40 per cento il suo appello alla “nazione degli hustlers” è stato efficace. Odinga promette battaglia. A 77 anni, è la quinta volta che si candida alla presidenza, la quinta volta che è sconfitto, la quinta volta che contesta il risultato. Gli osservatori ritengono però che le sue possibilità siano molto scarse. Insomma, per una settimana dopo il voto in attesa della proclamazione dei risultati il Kenya è stato fermo, con le attività economiche bloccate e le scuole chiuse. Per chiunque abbia votato, la gente non ne può più.

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