Petro Poroshenko (foto di Pietro Guastamacchia) 

Viaggio in Donbas con Petro Poroshenko

Pietro Guastamacchia

Per le vie di Dnipro con l’ex presidente dell’Ucraina, che ha un suo battaglione rifornito di armi comprate anche dall’Italia. E intanto tesse anche alleanze in Europa

Kramatorsk. In Ucraina, oggi, si fa prima a contare i politici che non indossano una divisa o un assortimento vario di completi mimetici di quelli in borghese. Uno solo però ha un suo battaglione personale, ed è Petro Poroshenko. “Io questa guerra la combatto dal 2014 e non ho mai smesso”, spiega l’ex presidente in versione soldato, mentre, pistola nella fondina, cammina per le vie di Dnipro con pochi uomini di sicurezza attorno. I media nazionali lo hanno soprannominato il “battaglione Poroshenko” una formazione di oltre 1.000 uomini dispiegati all’interno delle Forze armate tra il fronte sud e il Donbas, un mix di volontari anonimi, ed ex figure politiche di spicco come l’ex ministro dell’Interno di Poroshenko, Yuriy Lutsenko o l’ex segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, Oleksandr Turchynov. Un battaglione che è uno strumento politico e mediatico per non abbandonare la narrativa della difesa della nazione al presidente Zelensky, e se è vero che qualche politico in ombra ci è saltato dentro per non perdere l’occasione di una foto in trincea va sottolineato però che qui si combatte davvero. Testimoni ne sono i volontari in seno alla ​​80esima brigata d’assalto anfibia, da settimane in prima linea a Bakhmut sotto l’assalto dei mercenari della Wagner.

  
Dnipro è una tappa per la consegna di undici mezzi blindati Iveco Shield ai suoi uomini impiegati a Kramatorsk, nel Donbas. “Mezzi di altissima qualità di produzione italiana, è la prima volta che l’Italia rilascia una licenza ‘dual use’ per un mezzo dello standard Nato, questi mezzi sono un simbolo della fiducia di un paese amico come l’Italia”, spiega l’ex presidente.

   
I mezzi sono stati regolarmente acquistati dal Poroshenko Fund, un nuovo sistema di supporto alle truppe ideato dall’imprenditore tycoon del cioccolato per coinvolgere i suoi sostenitori. Il fondo organizza delle campagne di raccolta fondi tra i cittadini e Poroshenko aggiunge poi il resto, dall’inizio del conflitto, stando a Forbes, l’ex presidente ha già investito oltre 10 milioni per sostenere la sicurezza nazionale.

   
Mentre passa in rassegna i mezzi italiani nascosti in un capannone nella campagna di Pokrovsk, nel Donbas, Poroshenko spiega che questo tipo di supporto “può davvero fare la differenza, i russi a causa delle sanzioni hanno perso l’accesso a qualsiasi tipo di tecnologia di qualità, con questo tipo di mezzi  oltre a mettere in sicurezza i miei uomini diamo una chance reale di cambiare il corso di una battaglia”, spiega appoggiato al cofano che riporta il simbolo della sua fondazione. “Per me l’esercito è come un figlio, io ho avviato le riforme nel 2015 dopo la débâcle di Debaltseve, io ho voluto fare in modo che avesse standard moderni, degni di un paese Nato, e se l’Ucraina resiste oggi è grazie anche a questo”, spiega Poroshenko. Quello dell’esercito è il grande tormentone dell’ex presidente al punto che non gli vengono risparmiate le vignette: all’indomani dell’esplosione nell’aeroporto russo in Crimea, un settimanale satirico apriva con una vignetta che riportava Poroshenko affermare “il missile è partito quando io ero presidente, ne sono io l’iniziatore”, ma dove si scherza c’è consenso.

   
Quella dell’ex presidente è una marcia lunga per scrollarsi di dosso l’immagine dell’oligarca corrotto che Zelensky, l’uomo qualunque al servizio del popolo, gli affibbiò nella campagna elettorale del 2019. Una marcia iniziata il 24 febbraio quando comparì, kalashnikov in mano, ai microfoni della Cnn  mentre era alla guida del primo embrione delle sue brigate territoriali: 60 volontari, 30 fucili d’assalto e un veicolo blindato Triton acquistato in fretta e furia in Polonia mentre divampava la battaglia di Kyiv. “Non mi sono mai vergognato di essere ricco, sono soldi guadagnati con duro lavoro e sono orgoglioso di usarli al servizio della nazione”, spiega mentre con fare da venditore si arrampica sui suoi mezzi nuovissimi.

 

Eppure la lotta politica con Zelensky non è del tutto sopita, all’alba di uno dei suoi viaggi all’estero Poroshenko si è visto sequestrare per alcune ore il passaporto a causa di un’indagine per corruzione partita con tempismo dalla procura di Kyiv. “Con Zelensky ci siamo incontrati e  gli ho detto: apriamo una nuova pagina bianca tra noi. Non come presidente e leader dell’opposizione, ma tra soldati, tra uomini che difendono la patria”, spiega Poroshenko che rifiuta qualsiasi domanda sulle polemiche tra i due: “Questa unità ha sorpreso soprattutto Putin che sperava di dividere il paese”. Poroshenko sa bene che Zelensky al momento è intoccabile ma sa anche che in politica tutto passa e la sua battaglia è quella di dimostrare di essere un leader ancora capace di dare sicurezza all’Ucraina e condurla magari attraverso  una difficile trattativa, lui che ne ha già fatta una. 

  
Nel tessere la sua tela l’ex presidente nel frattempo tesse anche alleanze in Europa, con i Popolari europei di cui è stato ospite di recente al congresso di Rotterdam, con alti funzionare della Nato, di cui fu il primo a ipotizzare l’ingresso del suo paese nel  2015, e con i vecchi primi ministri incontrati durante la sua presidenza, come “l’amico Renzi, con cui sono in contatto”. “Continuerò a usare i miei contatti per aiutare e sostenere l’esercito” spiega Poroshenko, “ci servono più armi, e soprattutto ci serve l’aviazione. L’Ucraina ha bisogno di aerei dello standard Nato, servono gli F-16 ora, se mi dessero la possibilità li comprerei io, domani stesso”.