La speaker della Camera americana Nancy Pelosi e la presidente taiwanese Tsai Ing-wen (foto LaPresse)

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Pelosi riparte e la Cina circonda Taiwan. Ma la vera punizione è economica

Giulia Pompili

Da giovedì le Forze armate cinesi useranno proiettili veri fino a sedici chilometri di distanza dalle coste taiwanesi. Bloccati anche alcuni scambi commerciali con l'isola: Pechino ha sospeso l’importazione di frutta e pesce e l’esportazione di sabbia naturale (un guaio per i microchip)

Bangkok. Nella prima visita di un alto funzionario americano a Taiwan degli ultimi venticinque anni, Nancy Pelosi ha fatto tutto quello che poteva infastidire di più Pechino. E’ andata allo Yuan legislativo, il Parlamento taiwanese che per Pechino rappresenta la pericolosità dell’idea di democrazia che potrebbe mettere in discussione l’autorità del Partito unico. Lì Pelosi ha parlato di “sostegno bipartisan” da parte del Congresso americano nei confronti di Taiwan, la cui storia “è un’ispirazione per chiunque ami la libertà”. Durante la sua visita nell’isola de facto autonoma, ma che la Repubblica popolare rivendica, la speaker della Camera ha incontrato anche la presidente taiwanese Tsai Ing-wen, che l’ha insignita dell’Ordine della Nuvola di buon auspicio – il massimo riconoscimento civile della Repubblica di Cina, cioè Taiwan. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, mercoledì in un comunicato ha definito la mossa di Pelosi una “completa farsa” e poi ha minacciato: “Chi gioca con il fuoco si brucia”.

E in effetti Pechino ha già iniziato a mostrare i muscoli, e lo ha fatto a modo suo, confondendo il piano politico e diplomatico con quello militare ed economico. E’ la prima sfida, quando si tratta di normalizzare un certo tipo di relazioni con Taiwan: bisogna aspettarsi che la Cina reagisca in modo molto duro e spesso anche creativo, imprevedibile. E’ uno dei motivi per cui per molto tempo i rappresentanti dei governi di mezzo mondo hanno evitato Taipei (l’altro è che perfino Taipei era molto cauta quando si trattava di accogliere funzionari stranieri): tutto per evitare di urtare la Cina. Ma qualcosa è cambiato, negli ultimi anni. Ed è cambiato soprattutto lo scorso 24 febbraio, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e il pericolo che si è fatto sempre più concreto delle grandi autocrazie capaci di raggiungere i propri obiettivi, di modificare lo status quo a tutti i costi, anche con la forza.  

Lunedì sera sono iniziate le esercitazioni militari cinesi attorno all’isola di Taiwan, ma quelle erano solo un’intimidazione. Le esercitazioni militari a cui tutti guardano sono quelle che iniziano giovedì, con la delegazione di Nancy Pelosi già a Seul, e che andranno avanti fino a dopodomani. Per la prima volta le Forze armate cinesi useranno proiettili veri fino a sedici chilometri di distanza dalle coste taiwanesi – dentro le acque territoriali taiwanesi. Le sei aree in cui hanno deciso di mostrare i muscoli sono molto estese, e praticamente circondano l’isola. Il ministero della Difesa di Pechino ha chiesto a navi e aerei di evitare quelle aree durante tutto il corso delle esercitazioni, di fatto creando il pericoloso precedente di una specie di no fly zone e un blocco navale attorno all’isola di Taiwan. Sun Li-fang, portavoce del ministero della Difesa di Taipei, in una conferenza stampa che si è tenuta mercoledì ha detto che Taiwan vigilerà sul suo territorio ma con “un atteggiamento razionale che non farà aumentare i conflitti”. 

L’altra arma a disposizione del leader cinese Xi Jinping per dare una lezione a Taiwan è l’economia. Pur negando di usare lo strumento delle sanzioni, e condannando gli altri paesi quando lo usano, la Cina sa bene come fare coercizione economica. L’ha fatto con la Corea del sud, quando nel 2017 installò sul suo territorio lo scudo antimissile americano Thaad; l’ha fatto con l’Australia, quando ha chiesto un’indagine indipendente sull’origine del coronavirus; l’ha fatto con la Lituania, quando ha aperto un ufficio di rappresentanza di Taiwan chiamandolo “di Taiwan”, e non “di Taipei”, come Pechino vorrebbe. La Cina mercoledì ha bloccato alcuni scambi commerciali con Taiwan, ha sospeso l’importazione di frutta e pesce e l’esportazione di sabbia naturale nel paese – la sabbia naturale serve a produrre i microchip, di cui Taiwan è la fabbrica del mondo, ma ha fatto sapere che il ban non è rischioso per la catena di produzione.

Al di là del pericolo di un incidente militare, mai da escludere quando si alza così tanto la tensione, il problema fondamentale della sopravvivenza di Taiwan così come la conosciamo è economico: la Cina resta il principale partner commerciale dell’isola (rappresenta il 33 per cento dei suoi scambi globali) e quando l’attenzione mediatica sulla vicenda Pelosi si sarà attenuata, quello che resterà sarà un problema puramente economico. Ovvero una crisi perfetta, per la Cina, per tornare a promuovere se stessa su un’isola che non l’ha mai voluta. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.