Carlo Calenda durante la conferenza stampa per annunciare l’ingresso nel suo partito Azione delle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, a Roma (ANSA) 

l'intervista

“A Calenda conviene correre da solo”, dice Fabrizio Masia (Emg)

Annalisa Chirico

Azione si allarga con l'ingresso nel partito di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. La difficoltà ora è capire quali alleanze stringere nel centrosinistra

Roma. “Carlo Calenda è più forte se corre da solo, l’alleanza con il Pd non gli conviene”, è lapidario il giudizio di Fabrizio Masia, ad di Emg Different e docente di marketing e comunicazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Il quadro è magmatico soprattutto nel centrosinistra dove tutto dipende da quel che farà Calenda. Adesso che Azione ha inglobato figure come Gelmini e Carfagna, l’alleanza con il Pd è ancora meno desiderabile perché comporterebbe uno schiacciamento a sinistra e risulterebbe incomprensibile agli elettori. Come fanno a stare insieme Carfagna e Fratoianni? Mi ricordano Mastella e Turigliatto, un connubio impossibile”. Eppure Enrico Letta sembra propenso a includere il partito di Calenda nel “campo aperto”. “

 

Se il centrodestra ha già definito un perimetro e dei confini chiari, non si può dire altrettanto del centrosinistra che sembra intenzionato a imbarcare chiunque. Un rassemblement che tiene dentro Letta, Calenda, Gelmini, Speranza, Leu e Fratoianni non definisce un progetto politico coerente e credibile. Oggi gli elettori chiedono essenzialmente due cose: coerenza e credibilità. Sono i punti di forza di Giorgia Meloni che nei sondaggi, non a caso, sfiora il 25 percento. La gente non ne può più di tatticismi e coalizioni innaturali”. Secondo lei, dunque, Calenda farebbe bene a correre da solo. “Guadagnerebbe consensi con una proposta politica chiara che può coinvolgere, al più, figure centriste come Matteo Renzi e Giovanni Toti, per competere al centro. Senza schiacciarsi sul Pd. Del resto, se devo votare a sinistra allora voto l’originale. Perché dovrei votare Azione? Quale sarebbe l’elemento distintivo se ti allei con Fratoianni? Questa non è un’alleanza politica ma matematica”.

  

Pare che sia Emma Bonino a spingere per l’alleanza a sinistra, e senza +Europa il partito di Calenda dovrebbe raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni. “Certo, esistono anche questi adempimenti. Ma la stessa Bonino come fa a spiegare che sta in una coalizione che va da Articolo 1 a Carfagna solo per garantirsi qualche seggio? Ci vorrebbe un po’ di serietà”. Passando ai numeri, lei è in grado di fare qualche previsione sulle performance di Calenda alle prossime politiche?  “Con Renzi e Toti, Calenda può arrivare a un risultato a doppia cifra, tra il 10 e il 15 percento. Con il Pd, Azione non va oltre il 6. Al centro inoltre si può dar vita a un progetto che abbia un respiro di lungo periodo, in chiave prospettica. Il candidato premier potrebbe essere Mario Draghi, o lo stesso Calenda. L’Italia è un paese di moderati, e per governare il passaggio al centro è fondamentale. Persino la sinistra ha vinto due volte con una figura come Romano Prodi, un democristiano”. L’apporto di Carfagna e Gelmini? “Con il Pd, pari a zero. Se corrono al centro, insieme possono valere un punto percentuale”.

 

Seguendo il suo ragionamento, Italia viva di Renzi, dunque, sarebbe un valore aggiunto per Azione. “Esatto, almeno per tre motivi: i due leader sono personaggi istrionici che già in passato hanno collaborato insieme. Tra loro esistono affinità e progettualità politiche comuni. L’ex premier ha uno zoccolo duro di aficionados del 2 percento, e con Calenda sarebbe disposto a giocare un ruolo da mediano e non da centravanti di sfondamento. Lascerebbe la leadership a Calenda”. Non mi ha detto le sue previsioni sul Pd. “A Letta converrebbe mettere insieme uno schieramento più centrista per conquistare anche l’elettorato flottante. Se il Pd imbarca tutti, arriverà forse al 30 o 32 percento, e perderà tutti i collegi uninominali”. Gli astensionisti saranno il primo partito? “Altamente probabile. Noi prevediamo un tasso di partecipazione intorno al 61 o 62 percento”. Ancora più basso che nel 2018 quando si sono recati alle urne il 74 percento degli aventi diritto. “Si è registrato un costante calo della partecipazione anche alle elezioni europee, amministrative, regionali. La gente si domanda se la politica sia in grado di fornire risposte ai problemi del quotidiano. E poi gli eletti sono sempre più distanti dal territorio: un tempo i politici curavano i circoli, parlavano ai mercati e ai bar. Oggi questa politica appare iperuranica”. 

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