Il propagandista di carriera

Lavrov non regge il peso dell'isolamento e lascia il G20 in anticipo

Micol Flammini

Al vertice di Bali i leader occidentali boicottano il ministro russo, e niente foto di famiglia. Il bilaterale con la Cina

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha lasciato in anticipo il vertice del G20 a Bali. Si è alzato durante la sessione mattutina, mentre aveva la parola la sua omologa tedesca, Annalena Baerbock, che criticava l’invasione di Mosca contro l’Ucraina. Poi non si è presentato a quella pomeridiana e ha abbandonato il summit. Davanti ai giornalisti ha detto che ha sentito rivolgere appellativi di qualsiasi genere ai russi “occupanti, aggressori, invasori” e ha accusato i colleghi occidentali di aver usato queste critiche per coprire la loro scarsa volontà ad affrontare argomenti come il  multilateralismo o la sicurezza alimentare. Il multilateralismo è la grande ossessione di Russia e Cina che muovono agli Stati Uniti l’accusa di aver costruito un mondo unipolare a guida americana e di voler punire chiunque – Mosca e Pechino in particolare – si discosti dalla loro visione del mondo. La crisi alimentare, invece, per Lavrov è qualcosa che va ben oltre la guerra in Ucraina, quella si potrebbe risolvere “costringendo Kyiv a liberare i porti del Mar Nero”, Mosca non ha responsabilità. Poi ha aggiunto che le sanzioni occidentali contro la Russia equivalgono a una dichiarazione di guerra. 

 

I leader atlantisti del G20 hanno fatto sentire a Lavrov il peso dell’isolamento e, per la prima volta, in un grande consesso internazionale, la Russia è stata trattata come uno stato da emarginare. I leader occidentali non hanno voluto fare la foto di famiglia, lo scatto di rito che si fa durante i vertici internazionali, non volevano essere immortalati vicino a Lavrov. Il grande scontro che l’Indonesia, paese ospitante, voleva evitare è stato invece inevitabile, nonostante i paesi che Mosca definisce ormai “ostili alla Russia” siano una minoranza nel G20. Lavrov è un diplomatico di carriera, considerato  abile anche dai colleghi occidentali fino a qualche anno fa. Ora è un megafono del putinismo e  si barcamena per difendere e presentare la versione russa dei fatti, per raccontare le bugie del Cremlino, per difendere la propaganda di Mosca. A Bali non ha cambiato registro, ha detto che i colleghi occidentali non “avevano utilizzato il G20 per gli scopi per i quali è stato creato questo format” e parlavano di guerra per distrarsi e distrarre. Lui, ha detto, era   molto interessato ad ascoltare per “capire come respira l’occidente”, ma, evidentemente, ha aggiunto, “non c’era nulla di cui parlare”. La propaganda di Mosca funziona  con argomenti semplici: la colpa è sempre degli altri, la Russia è la vittima. Lavrov si è fatto risucchiare da questo sistema con il risultato che non si intravvede più la differenza tra lui e la  portavoce del suo ministero, Maria Zakharova, che si riprende mentre addenta   fragole con fare ammiccante per dire che se nel mondo c’è la carestia, il suo giardino è rigogliosissimo. O tra Lavrov e Ramzan Kadyrov, che gira spot con un attore che interpreta l’ucraino Volodymyr Zelensky con il naso sporco di polvere bianca che chiede perdono al dittatore ceceno e grida “Slava Rossii”, gloria alla Russia. 

 

Al vertice del G20 il propagandista Lavrov è stato trattato come un reietto da una parte della comunità internazionale. Ha avuto un bilaterale con il collega cinese Wang Yi, dell’incontro c’è una foto in cui le due facce amiche allargano le braccia e si sorridono, ma c’è una differenza: con la Cina hanno voluto parlare tutti, anche il segretario di stato americano Antony Blinken. Con la Russia davvero in pochi. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.