(foto EPA)

Appunti per capire se Macron saprà garantire una stabilità minima (anche in Europa)

Jean-Pierre Darnis

Se da un lato il riformismo interno francese sembra bloccato, bisognerà osservare il riformismo europeo. Anche qui una maggioranza allargata potrebbe sostenere in Francia le riforme adottate a livello continentale: una forma di vincolo esterno un po' soft

Le elezioni legislative francesi hanno prodotto una situazione originale, mai vista nella Quinta repubblica. Il presidente neoeletto, Emmanuel Macron, non riesce a mettere insieme una maggioranza all’Assemblea nazionale, mentre le opposizioni crescono ma non al punto di poter creare una maggioranza alternativa. Questo fatto, dirompente, sconvolge i francesi abituati a un maggioritario che ha finora funzionato come una fantastica macchina che premiava un solo campo e produceva stabilità. Per la prima volta ci troviamo di fronte a un contesto molto più fluido – un possibile governo di minoranza, per dirla all’italiana.

La scarsa performance del campo macroniano obbedisce a vari tipi di logiche, ma vanno sottolineate la passività di Macron, che quasi non ha fatto campagna elettorale, e l’inflazione che aumenta le preoccupazioni sociali, alimentando il voto sia per la coalizione di sinistra Nupes sia per il Rassemblement national lepenista. La performance di Marine Le Pen potrebbe essere infatti il segno di una reazione dell’elettorato di destra al rinnovato pericolo di sinistra, mentre la poca chiarezza sul voto di sbarramento a livello nazionale da parte del partito di Macron ha aperto crepe nel muro del “fronte repubblicano”, che fino a domenica manteneva l’estrema destra ai margini del Parlamento. Questi meccanismi permettono per la prima volta al Rn di esprimere in Parlamento il radicamento territoriale che era stato già osservato nelle ultime due presidenziali. 

Si sta già valutando la possibilità di forme di coalizioni ricorrendo sia ai deputati dei Républicains, la destra neogollista, sia ad aperture con gli eletti di sinistra non inseriti nella Nupes, mentre viene evocata l’esperienza del governo Rocard che dal 1988 al 1991 si barcamenò con una maggioranza relativa, negoziando con tutte le forze politiche per ogni testo di legge. Alla fine le urne hanno inviato un messaggio chiaro, imponendo ridimensionamento al riformismo macroniano, a volte percepito come frenetico. Si tratta di una segnale ovvio per quanto riguarda la molto discussa riforma delle pensioni, ma creerà difficoltà concrete anche sul prossimo pacchetto legislativo che prevedeva di incanalare velocemente una serie di misure per lottare contro l’inflazione.

Per certi versi i risultati tradiscono la stanchezza nei confronti del metodo della prima presidenza Macron, una visione tecnocratica che tende a imporre riforme dall’alto alimentando una percezione di verticalità e di arroganza nei cittadini. Può darsi che il paese abbia anche bisogno di una pausa da questo punto di vista, ma questo non fa parte di un ethos francese che tende a correre sempre dietro a un riformismo sfrenato percepito come ragion d’essere dell’azione politica. Questa lettura cozza con l’analisi prevalente di “anormalità” o di “crisi” della situazione attuale e sarà quindi importante capire nei prossimi giorni se il capo dello stato ma anche un governo con un deciso rimpasto possano garantire una stabilità minima.

Le problematiche ruotano essenzialmente attorno a questioni interne: per quanto riguarda la politica estera, il presidente potrà contare su un sostegno trasversale allargato, e per esempio non dovrebbe diminuire la forza della posizione francese nel conflitto ucraino. La questione europea merita però un’ulteriore considerazione. Se da un lato il riformismo interno francese sembra bloccato, bisognerà osservare il riformismo europeo, cioè la promozione e partecipazione a una serie di passi in ambito europeo e i loro effetti in Francia. Anche qui una maggioranza allargata potrebbe sostenere in Francia le riforme adottate in Europa, seguendo le maggioranze del Parlamento europeo.

Si può pensare che da questo punto di vista Verdi, Socialisti o Républicains mostreranno una certa coerenza. In tal caso avremmo in Francia una forma di vincolo esterno un po’ soft, che permetterebbe di non perdere il ritmo del necessario riformismo europeo. E forse la Francia ha la necessità dotarsi di una visione magari più italiana dell’articolazione fra governo e Parlamento: a un certo punto il francesissimo desiderio di chiarezza prenderà il sopravento e potrebbe spingere a una dissoluzione dell’Assemblea nazionale con elezioni anticipate, come già paventano alcuni (la prevedono entro un anno). Ma intanto bisogna osservare come le istituzioni si adatteranno a questo scenario inedito, che potrebbe rivelarsi meno catastrofico di quanto lascino pensare i commenti a caldo.

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