La conta a Londra

Johnson si salva dalla sfiducia ma la tregua con i suoi è fragile

Paola Peduzzi

Soltanto il 59 per cento dei conservatori vota a favore del premier. Manca un piano per riconquistare credibilità. Prima del voto dice, riferendosi alle feste in violazione del lockdown: "Lo rifarei ancora"

Boris Johnson si è salvato dal voto di sfiducia e, secondo le regole attuali, per i prossimi dodici mesi non si potrà più organizzare una conta parlamentare per testare il consenso del premier britannico. Queste sono le regole, ma a parte che possono essere modificate, poi ci sono la politica e la storia. La politica dice che il 59 per cento dei parlamentari conservatori ha votato a favore del proprio premier. Non è un numero alto ed è un numero che vuol dire che la resa dei conti è comunque in corso e diventerà brutale se, come dicono i sondaggi, alle suppletive di fine giugno i Tory non andranno bene.

E’ da quando è scoppiato il partygate – era dicembre dello scorso anno, iniziarono a circolare le notizie di feste organizzate a Downing Street durante il lockdown, in violazione delle regole; poi arrivarono le immagini, le indiscrezioni, altre immagini, altre date di festini e soprattutto le versioni contrastanti dello stesso Johnson sul proprio coinvolgimento – che i Tory si contano e cercano di capire se è arrivato il momento di destituire il loro primo ministro. Fino a ieri non c’erano nemmeno i numeri per chiedere il voto di sfiducia, ma mancavano anche altri elementi fondamentali: un sostituto credibile, soprattutto. E l’attimo giusto per un’operazione che, sulla carta, sarebbe pure illogica: Boris Johnson ha consegnato ai Tory una maggioranza parlamentare di 80 seggi, un record. L’invasione di Vladimir Putin in Ucraina ha poi inserito un’altra variabile: Johnson è un alleato solerte di Kyiv, ancora oggi ha annunciato l’invio di missili a medio-lungo raggio, crede che la vittoria dell’Ucraina debba essere netta oltre che indispensabile per il futuro di tutto l’occidente.

E’ un leader di guerra, Johnson, e sostituirlo ora a molti è parso un azzardo inaffrontabile. Per tutte queste ragioni, il tentativo di scalzare il premier è arrivato oggi, e non è riuscito. Ma nelle dichiarazioni di chi ha detto di non aver più fiducia nel premier non c’è soltanto discontento né quell’istinto cannibale che anima il Partito conservatore inglese. Manca un piano, a Johnson manca una direzione sicura e credibile: la Brexit non sta andando come si sperava, i cantieri per livellare le diseguaglianze vanno a rilento, la crisi causata dalla guerra sta sfasciando i piani economici del governo. E Johnson è stato assorbito dalla politica estera e dalla gestione del partygate, delle multe, delle scuse e delle probabili menzogne dette in Parlamento al riguardo. E se è vero, come riportavano i giornali, che alla riunione pre voto ha detto ai suoi parlamentari “lo farei di nuovo”, chi dice che Johnson non cambierà e che gli scandali dreneranno le attenzioni del suo esecutivo suona plausibile.


Poi c’è la storia: quando si sopravvive di poco alla sfiducia, il tempo che resta si riduce drasticamente. E’ sempre andata così: Johnson scommette sulla propria unicità, ma a furia di distrarre gli altri è rimasto fuori fuoco anche lui. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi