Berlin Blues

Si vota nel Land più grande e gli imprenditori tedeschi chiedono di riaprisi a Mosca

Daniel Mosseri

Gli industriali non mollano: lo stop agli scambi con la RUSSIA sta provocando nuovi colli di bottiglia anche alle manifatture tedesche in Germania, senza contare gli sforzi del governo per staccarsi dal gas e dal greggio russo, operazione che si annuncia salata

Berlino. Fermate la guerra e tornate al tavolo negoziale perché è a rischio l’economia dell’intero continente europeo. La chiamata a occuparsi meno di armi “e a riaprire il mondo” agli scambi è del ceo di Volkswagen, Herbert Diess. Il massimo dirigente del gruppo VW, cittadino austriaco classe 1958, ne ha parlato con il Financial Times: “Non dovremmo rinunciare ai mercati aperti e al libero scambio ma dovremmo puntare a un accordo” (fra le parti). A Diess la guerra brucia: VW ha chiuso il suo stabilimento russo di Kaluga e da marzo non esporta più prodotti verso la Federazione russa. Colpisce però come il suo invito arrivi quando non si intravedono spiragli non solo di un accordo ma neppure di un negoziato. Alle sue parole ha reagito il molto assertivo ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk, che ha invitato l’imprenditore a rivolgersi direttamente a Vladimir Putin, “un uomo che lui conosce bene e che ha scatenato la guerra di distruzione contro il popolo ucraino”. 

  
La frustrazione di Melnyk è palpabile: da mesi il diplomatico è in pressing ora sul cancelliere Olaf Scholz ora sul presidente federale Frank-Walter Steinmeier perché assicurino sostegno finanziario e soprattutto militare all’Ucraina; l’uscita a gamba tesa di un boss dell’economia tedesca come Diess rischia di rinsaldare la mai sopita simpatia tedesca per la Russia e il Cremlino. Simpatia che attraversa il paese da est – dopo 45 anni di relazioni forzose con Mosca – a ovest: nel 1952 fu l’allora ministro dell’Economia (e futuro cancelliere tedesco occidentale) Ludwig Erhard a fondare il “Comitato per l’est dell’economia tedesca” assieme alle sigle degli imprenditori (Bdi), dei commercianti all’ingrosso (Bga) e alle camere di commercio (Dihk). Risultato: nel 2021, la Russia era il quarto partner commerciale extraeuropeo della Germania e il 14esimo su scala assoluta.

   

Un atteggiamento di benevolenza nei confronti del Cremlino è poi diffuso anche nella Spd del cancelliere Scholz e non solo fra chi, come Manuela Schwesig, la governatrice del Meclemburgo (il Land dove i gasdotti Nord Stream approdano in terra tedesca), ha interessi diretti agli scambi con Mosca. A marzo, per esempio, la sindaca di Berlino, Franziska Giffey, ha difeso il gemellaggio tra Berlino e Mosca – “ma noi diamo accoglienza a decina di migliaia di profughi ucraini”, si è difesa – e  a maggio ha bandito l’uso delle bandiere ucraine e russe dalle manifestazioni. Agli ucraini, l’equiparazione del loro stendardo gialloblu con quello tricolore dei russi invasori non è andata giù. L’8 maggio (il giorno della vittoria in Ucraina) le forze dell’ordine hanno sequestrato ai manifestanti pro Kyiv diversi metri di bandiere, provocando la nuova reazione dell’ambasciatore Melnyk: “Siamo scioccati dal fatto che la polizia abbia vietato di sventolare le bandiere ucraine nei giorni dell’8 e del 9 maggio. E’  uno schiaffo all’Ucraina e al suo popolo”.

 

Intanto gli industriali non mollano: lo stop agli scambi con Mosca sta provocando nuovi colli di bottiglia anche alle manifatture tedesche in Germania, senza contare gli sforzi del governo per staccarsi dal gas e dal greggio russo, operazione che si annuncia salata. E’ naturale che gli imprenditori diano voce alle loro preoccupazioni: già a marzo Basf e Siemens Energy avevano spiegato che il boicottaggio dell’energia russa “potrebbe portare l’economia tedesca alla crisi più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale” – questl ceo di Basf, Martin Brudermüller. Meno sensata invece è la scelta di affidarsi a Diess, noto nel passato per aver pronunciato l’infelice frase “EBIT macht frei” (il profitto vi renderà liberi) e per aver fatto finta di ignorare, ricorda il Ft, l’esistenza di campi di detenzione di massa per musulmani in Cina.

  

E se il mondo del business morde il freno, quello della politica non sembra meno scombussolato dai fatti di Ucraina. Dopo lunghi tira e molla e veri propri litigi fra Verdi e Liberali da una parte e socialdemocratici dall’altra sull’appoggio a Kyiv, a inizio mese Scholz ha riunito il governo in clausura a Mesemberg per ricompattare la maggioranza. La quiete è però durata solo dieci giorni. Venerdì i Liberali hanno convocato Scholz in commissione Difesa al Bundestag uscendo platealmente loro stessi dopo aver giudicato evasive le risposte del cancelliere sull’Ucraina. Un altro scivolone della maggioranza sul quale la Cdu ha speculato due giorni prima delle pelezioni domenica per il rinnovo per il rinnovo del Parlamento regionale di Düsseldorf (13 milioni di elettori). Venerdì Scholz si è dato un contegno telefonando a Putin (senza risultato).