Il test del Sarmat nella foto diffusa dal ministero della Difesa russo (LaPresse)

Perché il test missilistico di Putin è un segno della sua debolezza

Giulia Pompili

Le “armi supersoniche” esorcizzano le difficoltà di Mosca. Un po’ come a Pyongyang

Un test missilistico non è mai soltanto un test missilistico. Serve a fare propaganda, a fare deterrenza, a mandare dei messaggi – anche all’opinione pubblica interna. Vladimir Putin ha detto che il missile balistico intercontinentale RS-28 “Sarmat”, testato “con successo” mercoledì da Mosca, è “un’arma davvero unica” il cui scopo è rafforzare “il potenziale di combattimento delle nostre Forze armate”,  che “farà pensare due volte coloro che minacciano il nostro paese”. Secondo diversi analisti si tratta in realtà di un diversivo per mostrare una superiorità bellica della Russia che finora non è stata dimostrata sul campo – l’affondamento dell’incrociatore Moskva nel Mar nero aveva bisogno di essere esorcizzato con l’esibizione di un’arma potenzialmente più letale. Molti media hanno rilanciato enfatizzando la notizia della nuova arma  a disposizione di Putin, ma è stato il Pentagono a minimizzare il test: il Cremlino ha regolarmente avvisato gli Stati Uniti del lancio prima di effettuarlo, come previsto dagli accordi “New Start”, firmati da Barack Obama e Dmitri Medvedev a Praga nel 2010 per controllare la proliferazione delle armi strategiche offensive. Si tratta quindi di un esperimento di routine, che non cambia le regole della guerra e non aumenta la minaccia militare russa contro l’America (un missile balistico intercontinentale superpesante a tre stadi come il Sarmat è costoso, difficile da produrre anche in conseguenza delle sanzioni contro la Russia, non sarebbe economicamente sostenibile usarlo per la guerra in Ucraina).

 

Non è la prima volta che la propaganda amplifica la capacità offensiva della Russia (che ha avuto difficoltà anche solo a distribuire le razioni K ai suoi soldati). A fine marzo il ministero della Difesa russo ha annunciato di aver impiegato per la prima volta un  missile ipersonico contro il deposito di armi nella regione occidentale dell’Ucraina di Ivano-Frankivsk. Ma molti esperti hanno messo in dubbio il reale utilizzo di un Kinzhal, un missile ipersonico che supera la velocità di Mach 5 e viene sparato dai Mig, e che per sua natura dovrebbe essere molto preciso – una caratteristica che manca agli attacchi missilistici russi in Ucraina. 


L’aspetto più interessante, però, è la trasformazione di Vladimir Putin in Kim Jong Un. L’estetica e la retorica del test infatti è molto simile a quella nordcoreana: il leader assiste in prima persona al lancio, e poi annuncia alla popolazione che il paese ha un’arma in più per difendersi. Nei regimi autoritari come la Corea del nord o l’Iran i test servono soprattutto a mostrare e a mostrarsi, a fare deterrenza. Sabato scorso la Corea del nord ha effettuato il suo dodicesimo test missilistico dall’inizio dell’anno. L’agenzia di stampa statale Kcna ha mostrato il leader Kim sul luogo di lancio, applaudire e festeggiare la “nuova arma tattica guidata” con capacità nucleare. Questo nonostante il paese più sanzionato del mondo abbia ancora i confini blindati a seguito della pandemia, e molte testimonianze parlino di una situazione economica dei cittadini a dir poco problematica. Mentre la Russia faceva il suo show, anche la Cina mostrava i muscoli: mercoledì la Marina dell’Esercito popolare di liberazione cinese ha pubblicato il video del lancio di un missile da un incrociatore di tipo 055, e secondo molti analisti si tratta del missile balistico antinave YJ-21, un’arma che fino a qualche giorno fa era avvolta nel mistero e di cui circolavano solo pettegolezzi. Anche per Pechino la pubblicazione del video equivale a un messaggio: ce l’abbiamo, siamo pronti. Il confine tra propaganda, deterrenza e reali capacità offensive è indistinguibile.
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.