assimilazione forzata

Cosa accade agli ucraini che Mosca si offre di “evacuare”

Micol Flammini

Un giornalista ucraino aveva detto: attenzione ai corridoi umanitari, uno è organizzato da Kyiv, l'altro da Mosca. Qualcuno è incappato nel secondo, è stato interrogato e qualcuno è riuscito ad andare in Russia, dove non ci sono le bombe, ma è immerso nell'indottrinamento. Anche i bambini

 In alcune regioni russe confinanti con l’Ucraina, nei giorni scorsi era stata alzata l’allerta per rischio di attentati. Gli ucraini avevano risposto che non avevano intenzione di colpire villaggi o civili e da Mosca era arrivato un avvertimento: se condurrete altre operazioni sul territorio della Federazione, bombarderemo le sedi istituzionali, anche a Kyiv. L’Ucraina, senza rivendicare, aveva cercato di rallentare l’avanzata russa anche colpendo obiettivi fuori dal confine e quando ieri dal ministero della Salute di Mosca è arrivata la notizia di bombardamenti nelle regioni di Bryansk e di Belgorod, in cui sarebbero stati colpiti e uccisi dei civili, gli ucraini hanno detto che si trattava di provocazioni per amplificare l’odio nei loro confronti  da parte della popolazione russa.

 

Dal Donbas non è facile fuggire e alcuni abitanti della zona  hanno dovuto fare una scelta: cercare di andare verso ovest oppure verso est, dove ci sono i russi, ma non ci sono le bombe. Altri cittadini sono stati invece portati forzatamente in Russia. Già a marzo il giornalista ucraino Dmitri Gordon aveva pubblicato un videomessaggio per avvisare gli ucraini che vivono nei territori occupati  che esistevano due tipi di corridoi umanitari: uno organizzato dall’Ucraina e l’altro dalla Russia. C’è chi è incappato nel secondo tipo ed è stato sottoposto non soltanto a test severi,  che Gordon ha paragonato ai “campi dell’Nkvd” di epoca sovietica,  ma anche a violenze. Questa sorte è capitata  a molti cittadini di Mariupol e di alcuni non si hanno più notizie. La finalità di questi campi è filtrare la popolazione, indagare su chi entra in Russia e capire anche cosa potrebbe raccontare.

 

Che ci sono rifugiati ucraini in Russia lo ha detto anche Mosca, che ha adottato una risoluzione sulla loro distribuzione  in tutte le regioni della Russia, spesso economicamente depresse. Secondo la  commissaria ucraina per i diritti umani, Lyudmyla Denisova, sono più di 700 mila gli ucraini deportati: la Russia usa il termine evacuati.   Una volta al di là dal confine, i rifugiati si   trovano a convivere con una popolazione che sta subendo una propaganda martellante contro l’Ucraina e quindi, se si sono lasciati alle spalle le bombe e la violenza dell’esercito, ora devono affrontare gente  non sempre pronta ad accoglierli. Per i bambini è ancora più complicato, vengono inseriti nelle scuole, dove la propaganda martella con una forza uguale se non più brutale. I manuali di testo sono stati riadattati alle necessità  “dell’operazione di denazificazione”, molte attività si concentrano sul patriottismo e questo patriottismo ha forti tinte antiucraine. Ai bambini – la maggior parte viene da zone russofone – viene detto di imparare il russo, perché la loro capacità di linguaggio non basta. Alcuni sono arrivati in Russia non accompagnati, hanno perso i genitori e molti sono di Mariupol, della città martoriata che tenta di resistere asserragliata nelle acciaierie Azovstal, hanno visto la barbarie dell’esercito russo, hanno subìto i bombardamenti e la fame. Lyudmyla Denisova ha denunciato che il governo russo sta facendo una legge per consentire ai russi di adottare bambini ucraini con una procedura più veloce. Non ci sono conferme da parte russa e oltre al fatto che secondo alcuni sarebbe una violazione dei diritti del bambino – sono minori portati via con la forza – rimane sempre lo stesso dubbio: come può un bambino ucraino convivere con un processo di assimilazione forzata. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.