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Come indirizzare la spesa per la difesa verso l'innovazione. Il caso Hacking for Defense

Andrea Gilli e Mauro Gilli

Diffondere il verbo della Silicon Valley nel mondo della difesa. Un manuale per creare start-up, la creatività degli studenti e un modello da imitare

Sette marzo, le forze armate ucraine informano di aver distrutto 30 elicotteri russi presso la base aerea di Khersov. Vero? Falso? Di sicuro immagini satellitari precedenti all’attacco mostrano  49 elicotteri nella base, dando una certa plausibilità alla notizia. Normali dinamiche militari e di informazione? Più o meno perché le immagini satellitari SAR (synthetic aperture radar) venivano da Capella Space, start-up, fondata nel 2016, come spin-off di un corso della Stanford University intitolato Hacking for Defense volto a diffondere il verbo della Silicon Valley nel mondo della difesa.

  

La storia del corso meriterebbe un libro: c’è Steve Blank che negli anni Settanta anziché proseguire l’università va in Vietnam ad aggiustare aerei dell’Aeronautica e, finita la guerra, va in Silicon Valley, crea otto start-up e diventa miliardario. Ci sono gli ex-colonnelli dell’esercito americano, Peter Newell e Joe Felter, che dopo decenni di dispiegamenti al fronte vogliono spiegare agli studenti come si innova sul campo di battaglia. Poi c’è un incontro tra i tre, quasi fortuito, a Stanford, l’università regina delle start-up, dove studenti e docenti vengono incoraggiati a lavorare all’esterno (e non puniti o scoraggiati, come in quasi tutto il resto del mondo). Il risultato è questo corso, ormai adottato da centinaia di università, soprattutto negli Stati Uniti la cui formula è tanto semplice quanto rivoluzionaria. Si approcciano organizzazioni della sicurezza nazionale, dalla Marina all’Intelligence, dalla Guardia costiera all’Esercito, e si chiede loro di fornire problemi che non sono in grado di risolvere. Usando il manuale di Steve Blank per creare start-up, gli studenti hanno un semestre per sviluppare una soluzione. Non ci solo lezioni, solo presentazioni degli studenti in cui i docenti danno commenti e suggerimenti. E Capella Space è una delle soluzioni sviluppate. 

  
Qualcuno dirà “chissà quanto costa”. Poco, perché le soluzioni sono concettuali: sono progetti, non prototipi, vagliati dalla metodologia di Steve Blank – che di startup non ne ha solo create ma ne ha anche supervisionate molte, essendo le sue idee alla base del best-seller “The Lean Start-up” di Eric Reis, non a caso discepolo di Blank. Per dare un’idea, già nel 2018, a soli due anni dalla fondazione, Capella Space aveva lanciato il primo satellite commerciale SAR e ora sta sviluppando una costellazione di satelliti in grado di fornire monitoraggio permanente in ogni condizione metereologica.

   

In un momento storico in cui, alle spese del Recovery fund europeo veicolate tramite il Pnrr, si  aggiungono gli aumenti al Bilancio della difesa approvati dal Parlamento sarebbe utile considerare di usare una minima quota di questi fondi – parliamo dello zero virgola zero zero zero… – per sponsorizzare l’adozione anche in Italia di Hacking for Defense – o di iniziative simili – presso le nostre università. La Nato chiede di spendere almeno il 2 per cento del pil in difesa e di cui almeno il 20 per cento in modernizzazione. Ciò serve per avere una base sufficiente di risorse per generare forze armate equipaggiate, preparate e addestrate. La nostra prosperità (e la nostra sicurezza) futura richiede un approccio volto alla soluzione dei problemi, alla capacità di lavorare in team e all’uso di competenze derivanti da più settori. Sono capacità che però, molto spesso, le università fanno fatica a trasmettere. Hacking for Defense, o iniziative analoghe, aiuterebbero molti nostri  studenti a guardare verso il futuro, non solo forti di nuove skills, ma anche di  maggiore entusiasmo: in un mondo sempre più dinamico, dove aziende come SpaceX, Starlink o Capella Space diventano in fretta leader di mercati esistenti o addirittura di mercati che non esistevano, è essenziale avere capitale umano preparato e flessibile. Gli italiani, in patria e all’estero, sono famosi per la  creatività. Corsi come Hacking for Defense servono a strutturare e incanalare questa creatività in progetti e prodotti. 

   
Tre considerazioni finali. Hacking for Defense non basta per risolvere i lacci e lacciuoli che impediscono alle startup italiane di crescere. L’aumento della spesa per la difesa andrebbe comunque indirizzato verso maggiori spese per modernizzazione ed esercitazioni. Infine, un’iniziativa come Hacking for Defense può avere successo solo se non gestita da strutture altamente verticali e disegnate attorno al diritto amministrativo anziché al pragmatismo.

  
Andrea GilliSenior researcher Nato Defense College 
Mauro Gilli, Senior researcher Politecnico di Zurigo

  

Le opinioni espresse sono personali e non riflettono le posizioni ufficiali della Nato o del Nato Defense College.

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