Una fossa comune nella periferia di Mariupol (AP Photo/Mstyslav Chernov) 

I crimini di Putin

Micol Flammini e Paola Peduzzi

Bombe sui civili, assedio, deportazioni, violenze:poi si nega l’evidenza (anche quando è filmata). Lo strazio di Mariupol è il paradigma della strategia di conquista russa e il motivo per cui la resa non è contemplata

L’Ucraina ha rifiutato l’ultimatum offerto dai russi per la città portuale di Mariupol. Pensare di arrendersi per due ore di corridoio umanitario non è un’opzione per Kyiv, anche se le condizioni nella città assediata sono sempre peggiori. Il bilancio delle vittime è arrivato a tremila, manca l’acqua, manca il cibo, manca l’elettricità, manca il gas, le temperature sono sotto zero. Chi è dentro è in trappola, ma l’esercito ucraino ha comunque un obiettivo militare: trascinare sempre di più la Russia per le strade di Mariupol. I bombardamenti hanno isolato e devastato la città, ma per prenderla l’esercito russo dovrebbe iniziare una battaglia casa per casa, vicolo per vicolo, una guerriglia intensa e logorante per la quale non è preparato. Il rifiuto degli ucraini di arrendersi mette i russi nelle condizioni di fare una scelta: lasciar perdere la presa di Mariupol o impegnarsi in una battaglia complessa, stancante, in grado di bloccare i soldati per settimane e di esporre ancora di più le debolezze del loro esercito. La conquista di Mariupol darebbe ai russi il controllo di uno sbocco importante sul mare di Azov, che sarebbe stata tra le città colpite si sapeva. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, ha spiegato che la resistenza della città sta salvando Kyiv, Dnipro e Odessa. Sono settimane che Mosca cerca di sbarcare a Odessa e non riuscendoci ha iniziato a sparare dal mare: due navi russe hanno colpito il porto. 

Planet Labs PBC via AP 

 

Non ci sono state vittime, ma è anche a quel porto  che i russi puntano nella loro strategia disordinata da sud e da est. Per la prima volta Mosca, finora all’apparenza molto possibilista sui negoziati, ha detto che le posizioni tra Russia e Ucraina sono troppo distanti. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha aggiunto: “Qualsiasi cessate il fuoco  viene sfruttato dalle unità nazionaliste  per riorganizzarsi e continuare gli attacchi contro l’esercito russo”. Questa guerra ha molti fronti, in cui i combattimenti perdono e acquistano intensità, la Russia spesso per distogliere l’attenzione da uno di questi fronti cambia repentinamente obiettivo. E mentre, la notte tra domenica e lunedì, attendeva  che gli ucraini cedessero a Mariupol, oltre a Odessa ha ricominciato a colpire anche Kyiv, dove è stato imposto  un coprifuoco di trentacinque ore. Mariupol però finora è la città in cui la ferocia dell’esercito di Mosca si è fatta più disumana. E’ il posto in cui tutto sembra poter soltanto peggiorare, è la città che ha mille persone intrappolate sotto terra, in cui la vita esiste soltanto al buio, in cui i rifugi sono diventati una gabbia, contro i quali si stanno abbattendo tutti i crimini di Vladimir Putin.  

 


Con l’ultimatum  a Mariupol la Russia voleva evitare  una guerriglia che non sa come combattere



“Dove sono i giornalisti, cazzo?”. Mstyslav Chernov, Evgeniy Maloletka e Lori Hinnant sono gli unici giornalisti internazionali rimasti dentro a Mariupol durante questo assedio e hanno raccontato per l’Associated Press che cosa hanno visto nelle ultime due settimane. Chernov ha raccontato che la mattina del 15 marzo, all’alba, sono arrivati degli uomini in divisa dentro l’unico ospedale funzionante della città – dove avevano trovato rifugio: i medici avevano dato loro dei camici per non farli riconoscere – e hanno chiesto dove fossero. Avevano una fascia blu, che identifica gli uomini dell’esercito ucraino, e Chernov ha fatto un rapidissimo calcolo delle probabilità: saranno russi?, e poi si è identificato. “Siamo qui per portarvi via”, gli ha risposto uno degli uomini.  Fuori si sentiva il rumore dell’artiglieria, era meglio rimanere dentro, ma l’ordine era: evacuazione. Sono stati dieci minuti sotto i colpi dell’esercito russo, un tempo infinito scandito dal rumore e dal terrore, poi l’arrivo a un mezzo blindato. Perché avete rischiato la vita per metterci in salvo?  “Se vi prendono, vi metteranno davanti a una telecamera e vi obbligheranno a dire che tutto quello che avete filmato e testimoniato è falso. Tutto quello che avete fatto qui a Mariupol sarà stato fatto invano”. Chernov racconta che nel giorno in cui è stato colpito l’ospedale pediatrico, il 9 marzo, un poliziotto ha aiutato lui e i suoi colleghi a spedire i filmati: lui era rimasto sorpreso, avevano raccolto molte testimonianze di morte. “Questo cambierà il corso della guerra”, ha detto il poliziotto.

AP Photo/Mstyslav Chernov
 

 

Bombe sui civili. Nei primi giorni dell’invasione, centomila persone di Mariupol hanno lasciato la città, ma tutti gli altri hanno aspettato, per capire come si mettevano le cose e organizzare la fuga verso occidente. I primi obiettivi dell’artiglieria russa sono stati un radar militare e una pista d’atterraggio per gli aerei. Gli abitanti iniziavano a scendere nei rifugi, ma pensavano che così si potesse ancora considerare la situazione vivibile. Già dal 27 febbraio, due giorni dopo l’inizio dell’invasione, le sirene delle ambulanze si sono sovrapposte a quelle degli attacchi aerei: iniziava a vedersi il sangue, iniziava il conto delle vittime. Già nei giorni successivi è iniziato l’assedio. Il 9 marzo i jet russi volavano in continuazione, come ormai ogni giorno: la gente in giro, poca, si nascondeva urlando dove poteva. Sapeva che sarebbe caduta una bomba, non sapeva dove. Quel giorno fu colpito l’ospedale pediatrico con il reparto maternità, quello che secondo la propaganda russa è un “fake” perché l’ospedale non era operativo e che ha scatenato i cosiddetti “lamenti patetici in occidente”. I giornalisti dell’Ap presenti hanno scritto: “Non c’era nulla che facesse pensare che fosse una struttura non operativa: era un ospedale”, e hanno documentato tutte le vittime che hanno visto. L’ambasciatore russo all’Onu è andato al Consiglio di sicurezza con le immagini che, secondo il suo governo, provavano che l’attacco era falso e che la donna incinta simbolo delle immagini trasmesse era un’attrice pagata. I giornalisti dell’Ap sono tornati all’ospedale per trovarla: aveva perso il bambino ed era morta anche lei. Mentre erano lì, vedevano i carri russi con la famigerata Z assembrarsi attorno alla struttura: pochi giorni dopo, quell’ospedale è diventato una base per le operazioni russe in città. Il 15 marzo è stato colpito il teatro di Mariupol, le immagini aeree mostrano la scritta ben visibile in lontananza “bambini”. Il teatro è stato distrutto, ma anche qui la propaganda russa (e filorussa) sostiene che non essendoci vittime anche questo è un caso di isteria russofoba. Le vittime non si possono contare, un po’ perché nella città sotto assedio, nessuno ha tempo per contarsi, un po’ perché il teatro aveva dei rifugi sotterranei per nascondersi dalle bombe: non c’è accesso ai rifugi, non si sa che cosa ci sia là sotto. Le operazioni aeree dell’aviazione russa continuano.
 


L’Ucraina ringrazia i giornalisti, è convinta che i loro lavoro potrà cambiare le sorti della guerra 



La fame e il silenzio. Nadia Sukhorukova scrive, quando può e quindi sempre più di rado, dei post su Facebook che sono il suo diario dell’assedio di Mariupol. Sabato ha scritto: “Esco dal rifugio tra una bomba e l’altra, devo portare fuori il cane che piange e trema e si nasconde tra le mie gambe. Vorrei dormire sempre, il mio piccolo cortile, che è circondato da palazzi alti, è silente e morto. Non ho paura di guardarmi attorno. Davanti a me l’ingresso del palazzo numero 105 sta bruciando. Le fiamme hanno già raggiunto il quinto piano e si stanno masticando il sesto. Le fiamme si muovono lente ma inesorabili. Le finestre non hanno i vetri, le tende infuocate sembrano delle lingue. Le fisso calma e rassegnata. So che morirò presto. E’ questione di giorni: in questa città, tutti aspettano la morte. Spero solo che non sia spaventosa. Tre giorni fa, un amico del  mio nipote più grande è arrivato per dirci che aveva preso fuoco la base dei pompieri, erano tutti morti. Un donna era rimasta senza braccia, senza gambe, senza testa: ho sognato che i miei arti sarebbero rimasti lì, anche dopo il bombardamento. Penso che sia importante anche se so che non avrò sepoltura. Abbiamo chiesto alla polizia che cosa fare con il cadavere della nonna di un amico. Ci ha detto di metterlo sul balcone. Mi chiedo: quanti cadaveri ci saranno sui balconi? La nostra casa su via Mira è l’unica senza colpi diretti. E’ stata colpita due volte dai detriti, le finestre sono spaccate, ma rispetto agli altri palazzi non è in  pessimo stato. Il giardinetto è ricoperto di cenere, frammenti di metalli, plastica. Cerco di non guardare quella cosa di ferro che c’è nel campetto da gioco: credo sia un missile, forse una mina. Non lo so, è davvero brutta. Mi pare di vedere un volto al terzo piano e ho un brivido: ho paura dei viventi. Il mio cane inizia a ululare, capisco che stanno ricominciando i bombardamenti. Sono all’aperto, ma qui è come un cimitero silenzioso. Non ci sono auto, non ci sono voci, non ci sono bambini, non ci sono vecchine sulle panchine. Anche il vento è morto. Alcune persone sono qui, in realtà: giacciono di fianco alla casa e nel parcheggio, coperte con i loro giacconi. Non guardo, ho paura di vedere qualcuno che conosco. Tutta la vita della mia città si svolge sottoterra, è come una candela nel rifugio. E’ facile tirarla fuori, ma al primo spiffero torna il buio. Cerco di piangere ma non ci riesco, mi dispiace per me, per la mia famiglia, per mio marito, per i vicini, per gli amici. Torno nel rifugio e sento il rumore del ferro: sono qui da due settimane ma non mi sembra che ci sia mai stata altra vita che questa. Ci sono ancora persone nei seminterrati, ma sopravvivere diventa più difficile ogni giorno. Non c’è acqua, non c’è cibo, non c’è luce, non si può uscire. Aiutateli. Ditelo. Fate sapere che i civili a Mariupol continuano a essere uccisi ogni giorno”.

 


La vita di Mariupol si svolge sottoterra, è come una candela nel rifugio: al primo spiffero torna il buio


 

Le deportazioni. Dall’inizio dell’assedio le persone sono scappate da Mariupol per dirigersi soprattutto  a Zaporizhzhia. In pochi sono riusciti a fuggire, chi è rimasto dentro non ha la possibilità di ricevere cibo e medicine, vive al buio e teme più che la morte per i bombardamenti la morte per fame o infezioni. Ieri Kyiv e Mosca si sono accordate sull’apertura di nove corridoi umanitari, ma non c’è Mariupol tra le città concordate. Chi non riesce a uscire rischia invece di essere portato in Russia, dove, secondo la portavoce ucraina per i diritti umani, Lyudmyla Denisova,  gli abitanti di Mariupol vengono deportati. La notizia non è stata verificata, Mariupol ormai, come l’ha definita un parlamentare ucraino che viene proprio dalla città sul mare di Azov, è diventata “l’inferno sulla terra”, è difficile capire cosa succede. Denisova ha raccontato che diverse migliaia di cittadini sono stati prima condotti in campi per sfollati, in cui sono stati controllati. I soldati russi hanno preso documenti e cellulari, controllato foto e chat. Dopo i controlli alcuni cittadini sono stati portati nella città russa di Taganrog, a cento chilometri da Mariupol. Il viaggio da Taganrog poi prosegue nelle aree che Denisova ha definito “economicamente depresse della Russia”. Dove sono diretti,   lo scoprono  dai fogli rilasciati dai russi e non possono cambiare la località scelta per loro. Questi cittadini vengono rapiti e non si sa cosa accada a chi non supera i controlli. Una piccola conferma di queste deportazioni viene da Mosca: le agenzie di stampa hanno raccontato che centinaia di persone sono state portate da Mariupol fino in Russia a bordo di autobus. Mosca li chiama rifugiati, gli ucraini li chiamano deportati.  

 


Alcuni abitanti vengono messi su un autobus e portati in Russia. I russi li chiamano rifugiati, gli ucraini deportati


 
I crimini contro l’umanità. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha confermato che i russi hanno commesso stupri nelle città ucraine. “Quando le bombe cadono sulle vostre città, quando i soldati violentano le donne nelle città occupate – e purtroppo abbiamo numerosi casi di donne ucraine violentate da soldati russi – è difficile, ovviamente, parlare dell’efficienza del diritto internazionale”. Per ora non ci sono racconti di violenze sessuali da Mariupol, ma aumentano le testimonianze di ucraine provenienti da altre città e chi vive a Mariupol non riesce ad avere le notizie, ma teme il peggio. Il presidente Zelensky ha detto che l’assedio di Mariupol sarebbe passato alla storia per i crimini di guerra e finora l’esercito di Mosca ha continuato a martoriare la città e i suoi cittadini, che vivono rinchiusi senza neppure poter seppellire i loro morti: rimangono per strada perché uscire fuori, per chi sopravvive, è troppo pericoloso. Mosca ha anche sparato contro gli autobus che nei giorni scorsi cercavano di evacuare dei bambini da Mariupol. La città è strategica, consentirebbe a Mosca di unire le regioni di Donetsk e Luhansk alla Crimea, di avere lo sbocco sul mare, di poter sbarcare nuovi uomini e nuovi mezzi, ma la decisione che ha preso il Cremlino è quella di usare una violenza crescente, una ferocia che va oltre la guerra, che sta rendendo Mariupol non soltanto una martire, ma il racconto di una potenza militarmente in difficoltà e che pur di vincere è disposta a spianare, distruggere, bombardare con ogni mezzo.

A Mariupol, il Cremlino è disposto a mostrare tutta la sua forza: vorrebbe dire quello che stiamo facendo qui lo possiamo fare altrove. A Kyiv, a Odessa, a Leopoli, a Chernihiv, a Karkhiv. La lista è lunga, come quella dei crimini di guerra.