Vladimir Putin (Ansa)

Dopo le sanzioni

Putin cerca rassicurazioni dagli alleati in Asia centrale, che rispondono con cautela

Davide Cancarini

Il Cremlino si è rivolto all'Unione economica euroasiatica, di cui fanno parte anche l’Armenia, il Kazakistan e il Kirghizistan, per cercare di rinfoltire lo scarno gruppo che sostiene l'iniziativa bellica e politica della Russia. Ma, complice il rublo a picco, la Russia ha ottenuto per il momento solo risposte fredde

Le sanzioni imposte dopo l’invasione dell’Ucraina stanno iniziando ad avere serie conseguenze sull’economia della Russia. Il rublo è andato a picco e i contraccolpi dell’impoverimento generalizzato che ne potrebbe conseguire rischiano di mettere a dura prova la tenuta sociale interna della Federazione. Per cercare di correre ai ripari, almeno parzialmente, Vladimir Putin sta cercando delle rassicurazioni sul fronte eurasiatico.

 

Alla fine della scorsa settimana si è tenuto un incontro dell’Unione economica euroasiatica (Eaeu), organizzazione fondata nel 2015 e fortemente voluta dalla Russia e che tra i suoi membri vede anche la Bielorussia, l’Armenia, il Kazakistan e il Kirghizistan. La riunione si è svolta alla presenza dei capi di governo dei paesi coinvolti ed è stata anche l’occasione per il premier russo Mikhail Mishustin per puntare il dito contro non meglio precisate forze che starebbero tramando per dividere l’Eaeu. Il presidente kazako Tokayev ha sottolineato i grandi risultati raggiunti dall’Unione, con il commercio esterno che avrebbe registrato nel 2021 una crescita del 34 per cento e quello interno addirittura del 67. Tokayev ha anche sottolineato  che le sanzioni possono causare la fine di questo trend così positivo. Al di là della prevedibile grande enfasi retorica, il risultato principale del meeting è stata la decisione di creare un gruppo di lavoro ad hoc per affrontare il difficile scenario economico che si profila all’orizzonte.

 

Lo sforzo che il Cremlino sta mettendo in campo in questa fase per rinfoltire lo scarno gruppo di sostenitori si concretizza però anche in forma bilaterale. Putin ha infatti avuto una conversazione telefonica con il leader uzbeco Shavkat Mirziyoyev: i contorni della chiacchierata non sono stati resi con precisione, ma il braccio destro del presidente ha pubblicato sui social una dichiarazione per sottolineare il posizionamento neutrale dell’Uzbekistan rispetto al conflitto in Ucraina: non è stato un successo per Putin. Nei giorni seguenti all’intervento armato russo, la presidentessa del Consiglio della Federazione russa, Valentina Matvienko, è volata in Tagikistan per incontrare il dittatore Emomali Rahmon e suo figlio (destinato a succedere al padre). Nonostante l’impegno, è difficile che il presidente russo riesca a strappare granché dagli alleati dell’area. Basti pensare che il ministro degli Esteri del Kazakistan – alleato di ferro della Russia – si è affrettato, dopo il riconoscimento da parte russa delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, a dichiarare di non considerare in agenda l’ipotesi che lo stato kazaco potesse fare altrettanto. Oltretutto, sul fronte economico, anche le repubbliche dell’Asia centrale – su tutte Tagikistan e Kirghizistan – rischiano di dover affrontare una crisi di portata storica.

 

Ogni anno sono infatti milioni i lavoratori dell’area costretti a emigrare per lavoro, avendo come meta prediletta la Russia. Il crollo del rublo porterà a una svalutazione pesantissima delle rimesse inviate in patria, che pesano per decine di punti percentuali sul pil di alcune repubbliche, e la probabile recessione che colpirà l’economia russa creerà difficoltà nel trovare un impiego. Se il Cremlino cerca rassicurazioni in Asia centrale, difficilmente riuscirà a ottenerne nel breve periodo. Il messaggio politico lanciato da Putin con l’invasione dell’Ucraina è stato  recepito nello spazio postsovietico, ma le conseguenze economiche potrebbero mettere in dubbio la tenuta stessa della Federazione e quella di altri regimi  fragili dietro l’immagine di apparente stabilità.
 

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