In Inghilterra

BoJo si è scusato, ma gli basterà? 54 è il numero che teme

Paola Peduzzi

Il premier inglese ha ammesso di aver partecipato al party a Downing Street e si è scusato, anche se ha detto che pensava si trattasse di una riunione di lavoro, quelle famose riunioni in cui ti dicono: portati da bere. Ma i conservatori si stanno contando per chiamare un voto di sfiducia e molti chiedono le sue dimissioni

Boris Johnson ha infine ammesso di aver partecipato al party a Downing Street, casa sua, durante il lockdown, e anche se ha detto che pensava si trattasse di una cosa di lavoro e anche se ha detto di essersi fermato soltanto per 25 minuti, si è scusato: “Voglio scusarmi, so che milioni di persone in tutto il paese hanno fatto sacrifici straordinari negli ultimi diciotto mesi”, ha detto il primo ministro britannico. Ha parlato della rabbia che fa agli inglesi vedere che “chi fa le regole non rispetta le regole” e ha detto che, pur non sapendo come andrà a finire l’inchiesta sul suo operato, “ho imparato abbastanza da sapere oggi che ci sono state cose che non abbiamo fatto bene, e devo prendermene la responsabilità”. L’opposizione laburista chiede le dimissioni di Johnson e ha fatto molto rumore quando il premier ha detto che pensava di andare a una riunione di lavoro cui erano invitate cento persone (da Martin Reynolds, il capo dell’ufficio di Johnson) e cui era stato detto di portarsi l’alcol da bere da casa. Sue Grey è la civil servant che  guida l’inchiesta e tutti parlano di lei ricordando che una che ha già fatto male ai conservatori in passato, ma ora non si tratta di colpire un conservatore, ma di travolgere Johnson. E anzi, in questa crisi in cui si è infilato il premier, i nemici principali sono proprio i conservatori, i compagni di partito, gli amici, come Douglas Ross, leader dei Tory scozzesi che ha chiesto le dimissioni del suo premier. Non tutti, certo, altrimenti Johnson sarebbe già spacciato, ma parecchi. Quanti? Ecco, questo è il punto.

A leggere i giornali, i ribelli che vogliono affossare il premier che ha consegnato loro un Parlamento a grande maggioranza conservatrice sono molti: parlano, scrivono, si fanno notare, condannano, minacciano, soprattutto mandano lettere. Ci vogliono 54 lettere  (circa il 15 per cento dei parlamentari tory) per far partire un voto di sfiducia e vengono consegnate a Graham Brady, il presidente del potentissimo comitato 1922 dei Tory.  Non si sa con esattezza quante sono state mandate, ma non ne servono poi così tante. C’è chi pensa che non sia questo il momento della resa dei conti, che le scuse possano bastare, e che comunque un premier debitore nei confronti del partito è un buon affare: meglio aspettare la tornata elettorale del 5 maggio e poi contarsi. Ma ci sono anche i precipitosi, galvanizzati dall’opinione pubblica arrabbiata con Johnson, che sanno che una regola delle congiure è quella di cogliere l’attimo giusto, non attendere, sparare al cuore, tanto più che ci sono anche sostituti, come il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak e il ministro degli Esteri Liz Truss, che scalpitano pronti. Il controllo di Johnson ora è minimo e come spesso è accaduto in passato la tenuta o il crollo sono un affare di famiglia.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi