Un anno dopo

Assalto al Congresso americano, la commissione d'inchiesta tocca il giornalista Hannity

Daniele Raineri

Il contrattacco di Trump sulle vicende di Capitol Hill del 6 gennaio 2021 si affloscia. I segreti di uno dei volti più noti di Fox News

Martedì sera l’offensiva pensata da Donald Trump in occasione del primo anniversario dell’attacco di massa al Campidoglio – 6 gennaio 2021 – per rubare la scena ai suoi oppositori si è sgonfiata. Doveva essere il momento del contrattacco, è finita con due sconfitte temporanee ma pesanti. I suoi consiglieri lo hanno convinto ad annullare la conferenza stampa che aveva convocato per oggi in Florida per sostenere, secondo le anticipazioni, che la folla che fece irruzione al Campidoglio un anno esatto fa stava reagendo in modo legittimo al furto delle elezioni. Sarebbe stata una svolta ufficiale a favore dei rivoltosi, non c’è stata. Considerate la coincidenza con il primo anniversario e la presenza di giornalisti – a differenza di quanto succede nei comizi avrebbero potuto incalzare Trump in diretta – i suoi consiglieri sono riusciti a far annullare la conferenza stampa con un pretesto (“troppo poca copertura tv” da parte dei media schierati, dice l’annuncio di cancellazione). Il rischio che a Trump scappasse detto qualcosa di ancora più abnorme mentre gli altri canali tv mostravano le immagini dell’anno scorso scorrere in continuazione era troppo alto. 

 

La seconda sconfitta per Trump è questa: la commissione d’inchiesta sull’attacco del 6 gennaio 2021 al Campidoglio ha spedito una lettera a Sean Hannity, uno dei volti più noti di Fox News, per richiedere la sua collaborazione alle indagini. Sean Hannity da tempo è una figura ibrida a metà fra il giornalista e il consigliere dietro le quinte di Trump e la lettera per giustificare la richiesta cita parola per parola alcuni messaggi di Hannity – con il risultato che sono finiti su tutti i giornali. I messaggi provano tra le altre cose che Hannity sapeva in anticipo cosa sarebbe successo il 6 gennaio perché la cosa era molto discussa all’interno del clan di Trump. La sera del 31 dicembre 2020 il presentatore tv scrive a Mark Meadows, capo di staff della Casa Bianca, per dirgli: “Non possiamo permetterci che tutto l’ufficio legale della Casa Bianca si dimetta. NON (usa il maiuscolo, ndr) vedo questa cosa andare come gli hanno raccontato”. Hannity sta avvisando Meadows che il piano per non certificare la vittoria di Biden il 6 gennaio, nel quale Trump e i suoi fan riponevano molte speranze, non può funzionare e c’è il rischio che tutti i legali si dimettano per prendere le distanze dal presidente e dalla folla.

 

Il 5 gennaio, quindi un giorno prima dell’insurrezione, Hannity scrive: “Sono molto preoccupato per quello che succederà nelle prossime 48 ore”. Aveva ragione. Il 10 gennaio scrive sempre a Meadows questo messaggio che fa dubitare della capacità di Trump di intendere e di volere: “Guys, abbiamo una rotta chiara per far atterrare l’aereo in nove giorni (si riferisce al 20 gennaio 2021, ultimo giorno del mandato di Trump). Non può più parlare di elezioni. Non può più parlare di elezioni. Mai più. La telefonata con lui oggi non è stata buona. Peggio, non so se c’è ancora qualcosa da dire o da fare e non mi piace non sapere se quello che dico è stato capito davvero. Avete idee?”. 

 

Hannity, che intanto su Fox continuava a sostenere la parte del lealista e a non mettere mai in discussione Trump, ammette di non sapere se Trump capisce oppure no quello che gli sta dicendo e tenta di contenere il danno: non deve dire mai più la parola elezioni. Il sentimento di quei giorni è chiaro: il clan del presidente pensa che per il bene del partito il presidente deve abbandonare la pretesa di avere vinto. Che però ancora oggi è la linea ufficiale di Trump, un anno dopo. Per ora Hannity dalla sua tribuna televisiva non ha reagito alla lettera. Intanto da indiscrezioni è saltato fuori che la commissione d’inchiesta potrebbe trasmettere alcune testimonianze in prima serata, a partire da marzo, per coinvolgere di più l’opinione pubblica americana. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)