Qualcuno deve pur dirlo

Possiamo smettere di credere alle elezioni di Natale in Libia

Daniele Raineri

Il palazzo del governo di Tripoli circondato nella notte da un gruppo di milizie armate. Appena un mese fa Macron e Draghi sponsorizzavano il voto 

Nella notte alcune milizie libiche hanno circondato il palazzo del governo a Tripoli come segnale di intimidazione per bloccare la sostituzione di un generale a capo della sicurezza nella capitale, Abdulbaset Marwan, con un altro generale che si chiama Abdelkader Khalifa. La differenza tra i due generali è che il rimpiazzato era un garante del potere delle milizie, che si sono spartite la capitale con un difficile gioco di equilibri, e il nuovo è stato nominato dal premier Abdelhamid Dabaibah (anche lui relativamente nuovo rispetto al potere delle milizie) e ha ottime credenziali per svolgere il suo lavoro ma rompe gli equilibri. La minaccia esplicita delle milizie vuole ricordare al governo che la Libia è un paese atipico, dove la forza militare è affidata a un assortimento vastissimo di fazioni armate che un po’ obbediscono all’esecutivo e un po’ no.

La notizia rende ancora più chiara l’impossibilità di tenere elezioni il 24 dicembre, come era stato promesso appena un mese fa alla Conferenza di Parigi – alla quale avevano partecipato tra gli altri anche il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. E apre una questione sull’esito delle elezioni, quando pure si terranno: se le milizie non approveranno i risultati del voto, cosa faranno? Si teme un nuovo round di guerra civile.


 

 

Considerato che nessuno in Libia si prende la responsabilità ufficiale di dirlo, tanto vale annunciarlo dall’Italia: le elezioni nazionali del 24 dicembre sponsorizzate con molte speranze dalla comunità internazionale non ci saranno. Mancano otto giorni e dalla Libia raccontano al Foglio che non ci sono più i tempi tecnici e c’è un tacito consenso sul fatto che le elezioni saranno rimandate a una data ancora da trovare. Per ora sono stati fatti “zero preparativi, a parte le schede elettorali stampate a prezzi gonfiati”, nelle strade non c’è nulla che possa far pensare a elezioni imminenti e non si vedono poster dei candidati: “Nessuno spreca soldi per qualcosa che sa che non succederà”.

 

Alla Conferenza di Parigi del 12 novembre c’erano state molte dichiarazioni di intenti e rassicurazioni ufficiali sul fatto che le elezioni sarebbero state tenute il 24 dicembre, che è una data simbolica perché è il settantesimo anniversario dell’indipendenza del paese. In teoria il voto per scegliere il nuovo Parlamento e il nuovo presidente doveva rappresentare una nuova ripartenza, perché si sarebbe svolto su tutto il territorio e quindi avrebbe superato la divisione in due della Libia e avrebbe fatto ripartire il processo di pace e di riconciliazione nazionale. Per questo motivo a Parigi il presidente francese, Emmanuel Macron, e il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, avevano parlato assieme e con ottimismo delle elezioni del 24 dicembre e si erano mostrati uniti – cosa che di solito non succedeva in passato, perché Italia e Francia avevano posizioni divergenti sulla Libia e anche durante la guerra civile scoppiata nel 2019 questa differenza si era molto notata. La dichiarazione finale della Conferenza, appena un mese fa, diceva: “Reiteriamo il nostro impegno al successo del processo politico libico e allo svolgimento di elezioni parlamentari e presidenziali il 24 dicembre 2021”. Anche la Germania di Angela Merkel era sulla stessa posizione. Ma questo allineamento europeo, benedetto dall’Amministrazione Biden, non ha sortito effetti. 

 

E’ scontato che le elezioni non si terranno il 24 dicembre, il problema è decidere o riuscire ad avere un consenso interno in Libia su come gestire invece il posticipo – dice al Foglio Claudia Gazzini, esperta e inviata sul campo in Libia per l’International Crisis Group –  Posticipo di quanto, per fare che cosa e chi deve decidere? Ci sono già correnti che dicono che un posticipo delle elezioni richiede anche un cambio di governo, altre che invece dicono no, un posticipo si può fare ma questo governo rimane”.

 

Il rischio è che queste elezioni in Libia, quando avverranno, finiranno non per calmare la situazione e decidere finalmente chi comanda, ma per fare da detonatore tra le fazioni armate che avranno mille pretesti per sostenere che il voto non è regolare e che la questione va risolta con la forza – e quindi con un nuovo round di guerra civile appoggiata dai grandi sostenitori esterni come Turchia e Russia, che per ora non hanno smobilitato le forze mercenarie che hanno posizionato in Libia durante il conflitto di due anni fa.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)