L'America annuncia un boicottaggio a metà di Pechino 2022

Giulia Pompili

I rappresentanti istituzionali americani non ci saranno. Ma gli atleti potranno gareggiare

Oggi la Casa Bianca ha annunciato un “boicottaggio diplomatico” dei Giochi olimpici invernali che si terranno a febbraio a Pechino. La portavoce Jen Psaki ha detto che nessun alto funzionario americano “contribuirà alla fanfara dei Giochi” per protestare contro le violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese nello Xinjiang. Dopo aver accusato Pechino di stare perpetrando un “genocidio” contro gli uiguri, la minoranza turcofona e islamica della regione, sarebbe stato sbagliato vedere rappresentanti diplomatici o ufficiali americani sugli spalti, per esempio durante la cerimonia d’apertura. “Non possiamo farlo”, ha detto Psaki ai giornalisti durante il briefing di ieri.

 


“Abbiamo un impegno nella promozione dei diritti umani. E continueremo a intraprendere azioni per promuovere i diritti umani in Cina e altrove”.  Psaki ha detto che sebbene non ci saranno funzionari istituzionali americani, “gli atleti della nazionale avranno tutto il nostro appoggio, li sosterremo da casa”, e ha aggiunto che non sarebbe stato giusto impedirgli di competere alle Olimpiadi invernali dopo “tutti gli allenamenti fatti negli ultimi quattro anni”. Del boicottaggio americano contro Pechino 2022 si parla già da tempo, come anticipato da questo giornale il 16 novembre scorso. Durante il summit virtuale tra il presidente Joe Biden e il leader Xi Jinping non si era parlato di Olimpiadi, forse proprio per evitare lo scontro.

 

Ma il tempismo dell’annuncio è eloquente: giovedì prossimo Washington  ospiterà il White House Summit for Democracy, un incontro virtuale con leader ed esperti di un centinaio di paesi per parlare di democrazia. Al Summit l’America ha invitato Taiwan, ma non la Cina. Probabilmente per anticipare la discussione, Pechino ha organizzato lo scorso fine settimana il suo summit sulla democrazia, molto rilanciato sui media statali, e ha pubblicato “il libro bianco sulla democrazia che funziona”. Pechino ritiene il suo sistema un “modello democratico più efficiente” di quello americano, perché basato sulla partecipazione delle persone che non “copia i sistemi occidentali”, ma soprattutto è una democrazia “che non si ammala”, come invece “quella americana”. 

 

Poco prima dell’annuncio di ieri, durante la quotidiana conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Zhao Lijian ha detto che quella della Casa Bianca è una “manifesta provocazione politica”, e ha aggiunto che il boicottaggio diplomatico tecnicamente non esiste, perché la Cina non ha ancora invitato nessun americano a partecipare.  Ora bisognerà osservare chi seguirà la decisione americana. Australia, Canada e Regno Unito potrebbero usare la stessa formula del “boicottaggio diplomatico”: Londra ha fatto sapere qualche settimana fa che “non sono stati acquistati biglietti aerei per Pechino”, lasciando la possibilità aperta, anche se il primo ministro Boris Johnson aveva detto di essere “di solito contrario” ai boicottaggi nello sport.

 

Del resto, la lezione del 1980 è citata spesso come caso di scuola di boicottaggi che falliscono. I Giochi olimpici estivi ospitati dall’Unione Sovietica furono boicottati da 65 paesi, compresa la Cina, che protestavano contro l’invasione russa dell’Afghanistan. Oltre al danno sportivo, la diplomazia non conquistò risultati.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.