AP Photo/Andy Wong

Boicottare Pechino

La svolta epocale del tennis femminile, che abbandona la Cina dopo il caso Peng Shuai

Giorgia Mecca

“Le foto dimostrano che la tennista è viva, non che è libera”. La Wta fa sul serio, mette i diritti in primo piano e rinuncia al paese che negli ultimi anni ha investito di più in questo sport: perdite stimate da un miliardo di euro

Il business non basta, la Cina è ricca ed è grande, il resto del mondo di più. Il tennis femminile abbandona la Cina, non organizzerà nessun torneo nel paese asiatico per tutto il 2022. Da un mese lanciava ultimatum, adesso il tempo è davvero scaduto. Goodbye China e i suoi milioni di dollari dunque, Steve Simon, il presidente della Wta è stato perentorio. “Non so come potrei chiedere alle nostre giocatrici di giocare nel paese in cui a Peng Shuai non è permesso di parlare liberamente”, ha annunciato Simon l’1 dicembre in un comunicato in cui si legge anche: “Se le persone di potere possono zittire le voci delle donne e spazzare via le accuse di violenza sessuale, allora, la base su cui si fonda la Wta, l’uguaglianza, subirebbe una immensa battuta d’arresto. Non vogliamo e non possiamo permettere che questo accada”.

 

La ritirata dall’Oriente e il boicottaggio del tennis Made in China è l’ultimo atto della vicenda che riguarda Peng Shuai. L’ex tennista di Xiangtan, ex numero uno in doppio nel 2014 e campionessa sempre in doppio di Wimbledon e Roland Garros il due novembre scorso su Weibo, un social network, aveva pubblicato un lungo rivolto all’ex vicemprimo ministro cinese Zang Ghaoli, accusandolo di molestie sessuali. Da quel post, scomparso meno di 30 minuti dopo, la donna, di trentacinque anni è scomparsa. WhereIsPangShuai? L’hashtag comparso su Twitter è diventato virale e ha portato ad appelli e a richieste di chiarezza sulle condizioni dell’ex giocatrice. Una mail risultata poco attendibile e pubblicata su un network controllato dal governo centrale, foto e video poco identificabili, una videochiamata con Thomas Bach a cui ne è seguita un’altra, un invito a cena a Pechino per il prossimo gennaio, le rassicurazioni che Peng è viva al tennis non sono bastate. “Le foto dimostrano che Peng Shuai è viva, non che è libera”, ha commentato un’avvocata cinese esperta di diritti civili. E così ecco la reazione di Simon e di tutto il movimento tennistico, in contrapposizione alla calma diplomazia evocata da Bach e dal Comitato Olimpico Internazionale. “Dobbiamo cominciare a fare scelte in base a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato”, ha detto Simon, consapevole delle conseguenze economiche dell’abbandono della Cina.

 

La Cina è stata infatti il Paese che più ha investito nel tennis; il presidente della Wta nel 2018, dopo aver concluso un accordo decennale che avrebbe portato le Finals, il torneo di fine anno, da Singapore a Shenzen fino al 2030 ( un trasloco che ha raddoppiato il montepremi da 7 a 14 milioni di euro) aveva paragonato la regione del Delta alla Silicon Valley, una regione in crescita grazie alla quale sarebbe cresciuto anche il tennis. E così fu: investimenti, stadi e impianti nuovi, sponsor e montepremi che promettevano di fare passare il jet lag alle giocatrici e a uno sport fino a quel momento eurocentrico. Le sole Finals avrebbero garantito, dal 2022 al 2030 150 milioni di investimenti, soldi che avrebbero aiutato il tennis a crescere, la Cina a legittimarsi, un accordo che lasciava tutti contenti e tutti sopra il carro dei vincitori.

 

La sparizione di Peng Shuai ha fatto scendere la Wta dal carro, ed è l’unica associazione professionistica ad uscire dal mercato, accettando di perdere una cifra che è stimata intorno al miliardo di euro. I soldi sono importanti e non bastano: la vicenda della tennista scomparsa è, a detta di Simon, più importante di qualunque business. Il boicottaggio del movimento femminile è l’ultimo di una serie di azioni che ha visto le tenniste scendere in campo per i diritti, sempre per prime, sempre da sole. Dalla fine delle barriere interrazziali (Althea Gibson) alla richiesta parità di salario (Billie Jean King e Venus Williams), dal diritto di fare coming out (Billie Jean King, Martina Navratilova) a quello di scioperare per protestare contro “il genocidio dei neri da parte della polizia statunitense” (Naomi Osaka) a quello, infine, di essere depressi (sempre Naomi Osaka) sono le tenniste le vere attiviste del mondo dello sport e, come dice saggiamente Billie Jean King, sono loro che dimostrano di essere, sempre e con anticipo, “dalla parte giusta della storia”.

 

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