natale a tripoli

Dieci anni di tormenti in Libia e ora alle elezioni si candidano due copie di Gheddafi

Daniele Raineri

Il generale Haftar e il figlio di Gheddafi si registrano per la carica di presidente, si vota il 24 dicembre in tutto il paese (ma forse no). C'è il rischio di una nuova guerra civile

Ci sono voluti dieci anni dalla morte del colonnello Gheddafi per arrivare a queste elezioni del 24 dicembre in Libia (la data non è per nulla certa, spiegheremo più avanti) come punto più alto delle speranze internazionali di stabilizzare il paese. E i primi due candidati a registrarsi sono stati domenica il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, e ieri a Bengasi il generale Khalifa Haftar, che del colonnello è considerato il successore perché in questi anni ha provato a prendere il potere con la forza a più riprese e da tempo si sarebbe proclamato il nuovo Gheddafi se i suoi attacchi contro la capitale Tripoli non fossero tutti falliti. L’erede genetico, con quel nome altisonante in stile gheddafiano – Saif al Islam, la spada dell’islam – e un mandato di cattura da parte del Tribunale penale internazionale per crimini di guerra. E l’erede politico Haftar, di settantotto anni, anche lui con un bagaglio di accuse di crimini contro i civili e pronto a trasmettere il potere al figlio Saddam – e anche questo nome tocca una corda, fra gli arabi e non. Si capisce che i libici sono in maggioranza delusi dai primi passi di queste elezioni, che cominciano ad assomigliare a una sfida molto tesa tra le solite fazioni armate invece che a un momento di svolta nella storia travagliata della Libia.

 

Per ora la comunità internazionale sponsorizza le elezioni con calore e le considera il rimedio migliore per impedire un secondo round di guerra civile che minaccia sempre di materializzarsi dopo l’assedio di Tripoli cominciato nell’aprile 2019 e interrotto un anno più tardi. Molti però sono convinti che queste elezioni di Natale potrebbero sortire l’effetto opposto e accelerare la guerra civile in Libia invece di allontanarla. Il voto è congegnato (male) in modo che alla fine ci saranno pochi contrappesi e bilanciamenti: chi vince prende tutto e chi perde sarà difficile che si rassegni al risultato delle urne – soprattutto se dispone di milizie armate. C’è la preoccupazione che lo schieramento perdente accusi i vincitori di avere imbrogliato per ottenere il potere e poi decida di risolvere la questione con le armi, come se le elezioni non si fossero mai tenute. I candidati si registrano ma ancora mancano in Libia una legge elettorale chiara, una magistratura capace di pronunciarsi e un esercito nazionale e neutrale. Qualsiasi controversia dopo il voto, autentica o inventata, potrà innescare uno scontro. 

 

La data delle elezioni in teoria è il 24 dicembre, ma il comunicato finale della Conferenza di Parigi che si è tenuta venerdì scorso diceva che in quella data dovrebbe cominciare “il processo elettorale” ed è una definizione così vaga da far pensare che il giorno effettivo del voto potrebbe essere spostato più in là. In questo momento il primo ministro ad interim di Tripoli è Abdelhamid Dabaiba, ma una clausola delle regole elettorali proibisce a qualsiasi funzionario di governo di registrarsi alle elezioni se non abbandona la sua carica almeno tre mesi prima. Se il voto del 24 dicembre scivolasse a marzo o più in là, Dabaiba avrebbe ancora tempo per lasciare il suo posto – che gli ha garantito visibilità e lo ha fatto diventare l’antagonista naturale di Haftar – e registrarsi come candidato. La sfida elettorale diverrebbe soprattutto Tripoli contro Bengasi, con il figlio di Gheddafi a fare da comparsa che raccoglie i voti dei nostalgici. Oppure, il primo ministro potrebbe gettare il suo peso a favore di un candidato fedele a lui. 

 

Haftar dopo la registrazione ha annunciato davanti alle telecamere, in cravatta e senza l’uniforme: “Dichiaro la mia candidatura a presidente, non perché inseguo il potere ma perché voglio condurre il nostro popolo verso la gloria, il progresso e la prosperità”. La legge elettorale gli consente di lasciare la sua carica militare tre mesi prima delle elezioni e poi di riaverla indietro in caso di insuccesso e questa sembra una regola cucita su misura per dargli l’opportunità di partecipare. Sarà interessante vedere come farà campagna elettorale nella Libia dell’est, dove comanda da anni e non tollera il minimo dissenso. Alcuni suoi oppositori sono stati uccisi o sono spariti nel nulla. Nella Libia dell’ovest in molti detestano Haftar e non accetterebbero la sottomissione, pur sancita dal voto, allo stesso generale che due anni fa bombardava Tripoli perché secondo la sua propaganda era “in mano ai terroristi”. C’è una città vicino a Tripoli, Tarhouna, dove da mesi si scava per portare alla luce centinaia di corpi seppelliti in fosse comuni dalle milizie di Haftar durante i mesi dell’occupazione e della guerra. L’idea che le elezioni potrebbero chiudere quel capitolo che risale ad appena due anni fa è azzardata. Lo stesso discorso vale, in piccolo, per il figlio di Gheddafi: per molti accettare il suo improbabile ritorno al potere sarebbe come vanificare tutti questi anni post-rivoluzione. Le potenze straniere che sono intervenute nel primo round di guerra come Turchia, Emirati Arabi Uniti e Russia adesso sono in attesa per vedere come appoggiare i loro schieramenti in caso di dispute. 
 

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