Tutte le mazzate di Putin

Micol Flammini

Mentre la Russia torna in lockdown perché i russi non si fidano di Sputnik, il Cremlino fa prove di forze all'esterno: G20, Cop26 e soprattutto Nord Stream 2

In Russia torna il lockdown: dal trenta ottobre per una settimana. I numeri sono quelli di un anno fa, ogni giorno muoiono circa mille persone, i nuovi casi di Covid sono più di 35 mila e le autorità non hanno potuto fare altro che ripronunciare quella frase di rito: settimana senza lavoro, il modo di Putin per dire chiudiamo. Il problema sta tutto nella diffidenza nei confronti  del vaccino, soltanto il 30 per cento della popolazione è completamente vaccinato con Sputnik V, il livello di sfiducia nei confronti del farmaco è altissimo e prima che la pandemia riprendesse il ritmo autunnale, nei sondaggi circa il cinquanta per cento dei russi continuava a dire che mai si sarebbe vaccinato. Sono tornate le tute gialle, quelle protettive che una volta ha usato anche Vladimir Putin per andare a visitare un ospedale. E se un tempo queste immagini ci facevano sentire tutti parte di un’unica tragedia, adesso i russi sanno che non è più così. Non si sono voluti vaccinare perché non si fidano di Sputnik, il primo vaccino contro il Sars-CoV-2 a essere approvato e il primo a essere stato somministrato. Tutto a gran velocità, in una corsa che il Cremlino pensava di correre contro l’occidente e invece stava facendo da solo. La propaganda  ha danneggiato in Russia la reputazione del vaccino, che su Twitter aveva un account riservato e si comportava come un troll, l’ha fatto percepire come un’arma, quando invece era un farmaco per tornare a vivere come prima della pandemia. Sembrava più uno strumento di politica estera che un vaccino. E come spesso accade ha sedotto più all’estero che in patria. 

Mentre in Europa c’era chi sosteneva che fosse necessario importare subito lo Sputnik,  i russi non hanno voluto fidarsi, proprio perché dissuasi dai toni sbagliati e anche perché in queste cose c’è molta sfiducia nei confronti del governo. La decisione di usare Sputnik come arma geopolitica è stata un calcolo molto sbagliato da parte del  Cremlino, un danno per la Russia, che ha decretato la sconfitta di Sputnik. In politica estera Vladimir Putin ha deciso di tenere lo stesso atteggiamento aggressivo. Negli ultimi giorni ha deciso di tagliare i rapporti con la Nato, che in un summit di ieri e di oggi ha parlato soltanto di Russia e di programmi di deterrenza. Mosca ha deciso di chiudere il suo ufficio di collegamento presso l’Alleanza atlantica.

Mercoledì il ministero della Difesa russo ha rilasciato un filmato che mostra due caccia russi Su-35 scortare bombardieri americani B-52 che si erano avvicinati al confine e ha detto che se la Nato farà passi avanti per l’integrazione dell’Ucraina, la risposta sarà immediata. Sono notizie che raccontano l’atteggiamento di Mosca. Putin ha anche detto che non parteciperà al G20 a Roma, come il cinese Xi Jinping. Salvo poi correggersi e dire che ci sarà in video e che vista la situazione sanitaria è meglio rimanere in Russia. Pochi giorni dopo ha anche detto che non parteciperà alla Cop26 a Glasgow nonostante abbia giurato un grande impegno ecologista e abbia fissato in questi giorni il termine per la Russia per raggiungere la neutralità energetica: il 2060. L’ultimo rifiuto riguarda l’Europa. La scorsa settimana Putin aveva detto di essere pronto ad aumentare le forniture di gas  all’Europa, facendo calare il prezzo del gas sui mercati. Il ripensamento è stato però rapido: dai risultati dell’asta pubblicata lunedì è emerso che Gazprom, il colosso statale russo del gas, non ha mai avuto intenzione di aumentare le forniture in questi mesi. Vuole prima che venga approvato il nuovo gasdotto  Nord Stream 2,e poi aumenterà le forniture. Lo Sputnik come il Nord Stream 2 sono riflessi dello stesso atteggiamento, un modo di concepire la politica estera come conquista che nel primo caso si è rivelato un danno più per la Russia che per il resto del mondo.

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.