dopo merkel

Cosa guardare del voto tedesco

Luciana Grosso

Cosa può succedere domenica sera quando inizierà lo spoglio e arriveranno i primi dati, partito per partito, e cosa rischia ogni leader

Domenica in Germania si vota, e molte cose cambieranno. Non solo perché la cancelleria non sarà più occupata – dopo 16 anni – da Angela Merkel, ma perché dal minuto dopo la chiusura dei seggi, molti equilibri, all’interno della politica e dei partiti prenderanno a spostarsi, sbilanciarsi o addirittura cadere. 

Il risultato è che ogni partito, in pratica, gioca una sua partita a parte, che poco o nulla ha a che fare con la cancelleria o con il governo, quanto con le vicende personali e i progetti di ogni gruppo e fazione. 

Per questo, quando domenica sera inizierà lo spoglio e arriveranno i primi dati, difficilmente conosceremo il nome del prossimo cancelliere, ma potremmo iniziare a intuire i tratti della politica tedesca post Merkel. 

 

Il destino della Cdu...

 

Il partito che ha dominato la Germania dal 2005 a oggi si ritrova, suo malgrado, a inseguire. Colpa forse del cambio di leadership o, più probabilmente, di una leadership durata troppo a lungo. 

Qualunque siano le ragioni, comunque Armin Laschet, presidente del Land di Nord Renania-Vestfalia e successore di Angela Merkel alla guida di Cdu, rischia seriamente di perdere o, al massimo, di pareggiare queste elezioni. 

La posta in gioco, però, per lui, non è solo la cancelleria – Laschet sta correndo, di fatto, anche per un’altra cosa, che forse gli sta persino più a cuore: il controllo della Cdu. 

Non è un segreto, infatti, che nonostante abbia governato per 16 anni e sia ancora popolarissima, Angela Merkel, all’interno del suo partito, era a stento tollerata. Lo stesso destino potrebbe toccare al suo successore Laschet che se dovesse uscire male dalle elezioni, difficilmente riuscirà a tenere lontani dalla stanza dei bottoni gli esponenti della corrente più destrorsa del partito, guidata da Friedrich Merz e dai gemelli della Csu bavarese. 

Per questo per Laschet è fondamentale se non vincere, almeno entrare al governo, o con una coalizione "Germania" con Spd e liberali o con una "Giamaica" con liberali e Verdi.

 

…e quello della Spd

 

Per la Spd vale un discorso uguale e contrario a quel che vale per Cdu: il candidato Olaf Scholz è, come Armin Laschet, un centrista, un uomo concreto e non ideologico (non a caso è ministro delle Finanze nel governo di Angela Merkel) ed è mal tollerato dalla – numerosa – fronda di sinistra del suo stesso partito (che già quattro anni fa, era contraria all’ingresso di Spd nella Große Koalition merkeliana). Se le elezioni dovessero andare peggio del previsto; se la Spd non riuscisse a sfondare il 25 per cento e a essere il primo partito (per la prima volta dopo 16 anni) o se, peggio ancora, Scholz dovesse vincere le elezioni ma essere costretto ad allearsi, di nuovo, con la Cdu, per lui la vita nel partito diventerebbe impossibile. Per questo in cima alle preferenze di Scholz c’è l’ipotesi di una coalizione "Semaforo" con liberali e Verdi, compagine che preferisce assai di più a quella con Verdi e post comunisti di Linke che, teme, possano fare asse con la fronda del suo partito e farlo sbandare a sinistra.


 

Il futuro pieno di ombre e luci dei Verdi

 

Il partito dei Grünen – oggi al 16 per cento – è la vera sorpresa di questa tornata elettorale e anzi, a primavera, per un breve momento, è sembrato essere addirittura il primo partito. Poi le cose sono cambiate, il consenso è un po’ scemato, un po’ è stato sperperato, e oggi di vedere Annalena Baerbock cancelliera non se ne parla nemmeno. Ma la politica ha tempi lunghi e il tempo, per ora gioca tutto dalla parte di questo ex piccolo partito, riuscito a raddoppiare in quattro anni i propri consensi e a drenare verso di sé sia buona parte dei voti persi per strada dalla Cdu, sia quasi la totalità dell’elettorato dei giovani (date un’occhiata alle immagini della manifestazione dei Fridays for future a Berlino, ieri).

Nonostante l’orizzonte sia quello dei prossimi anni,  è già a queste elezioni che Baerbock guarda con apprensione: restare fuori dal governo potrebbe condannarla all’irrilevanza.  Il buon senso, la logica (e forse anche le promesse sotto banco di Olaf Scholz) potrebbero suggerire che l’ipotesi non si realizzi e che, nel governo, Baerbock entrerà. Ma nella politica si sa, buon senso, logica e promesse valgono fino a mezzogiorno. Per questo Annalena Baerbock ha bisogno di un mandato il più forte possibile  e di una quantità di seggi che le garantiscano che la Spd (o persino la Cdu) senza i suoi delegati non vadano da nessuna parte e non siano tentati nemmeno per un minuto, da una coalizione "Germania" che la escluda. Fossimo in lei, ci guarderemmo le spalle.


 

I Liberali e il loro win win

 

Nelle giornate confuse e piene di incertezza dell’ultimo scorcio di campagna elettorale c’è solo un partito che dorme tra due guanciali: i liberali di Christian Lindner. Con ogni probabilità toccherà a quest’ultima formazione e al suo 10 per cento di voti fare da ago della bilancia del prossimo parlamento e, quasi sicuramente, del prossimo governo. Comunque vada, i delegati di Christian Lindner potrebbero essere decisivi per formare la prossima maggioranza (e, probabilmente, preferirebbero accompagnarsi a Spd e Cdu invece che a Spd e Verdi). In ogni caso la stampa ha già preso a coccolare il leader liberale come astro nascente (anche se ha 42 anni) della politica e quasi certo Ministro delle Finanze. Il che, va detto, è molto probabile.

 

AfD: il partito che fa paura a tutti e non fa paura a nessuno

 

Per il partito di estrema destra Alternative für Deutschland le elezioni sono una faccenda a parte: i suoi due leader in tandem Alice Weidel e Tino Chrupalla non corrono, ovviamente, per la cancelleria, e, anche se i sondaggi danno loro lo stesso 10 per cento dei liberali, non corrono neppure per entrare in maggioranza o fare da ago della bilancia del prossimo parlamento. No. Per ora AfD vuole (e può, per altro) solo esserci, dare visibilità ai suoi e consolidare il suo consenso lì dove già ce lo ha (soprattutto nel sud est del Paese, dove è primo partito). Il che, per un partito di estrema destra in Germania, è già un successo non da poco.   

 

Linke: i grandi esclusi

 

Per i post comunisti di Linke vale un discorso molto simile (benché opposto) a quello fatto per AfD: non corrono per vincere, corrono per esserci. La leader del partito, Janine Wissler,  tra l’altro, in questa campagna elettorale si è dimostrata comunicativa e convincente. E soprattutto ha saputo capitalizzare, in termini di popolarità se non di voti – visto che non si è mossa dal 6 per cento – il fatto di essere stata usata (in modo un po’ pigro, per la verità) da Armin Laschet e Angela Merkel come spauracchio per togliere voti a Spd. Così, Wissler ha passato gli ultimi giorni di campagna elettorale a far vedere di non fare paura a nessuno. Difficile darle torto. Ma difficile anche pensare che possa davvero entrare in maggioranza.  Più probabile resti a guardare, da fuori, i cugini di Spd allearsi con liberali, Verdi e, incredibile ma consueto, con i cristianodemocratici.