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Un grazie

Angela Merkel se ne va e ci lascia soli e un po' impauriti

Giuliano Ferrara

Se ne è fottuta dello spirito del tempo, ha preferito padroneggiare quello lungo che le è toccato, è stata una serial killer dei maschietti e resterà sempre il simbolo di successo del centrismo politico

Se ne va domenica, che poi ci vorranno probabilmente giorni su giorni per negoziare un nuovo governo tedesco, una nuova Kanzlerschaft, e ci lascia soli e un tantino impauriti. Abbiamo scritto lettere d’amore a Angela Merkel, quando nessuno pensava di poterla mai rimpiangere, e ora ci tocca un biglietto d’addio. Alla ricerca dei suoi tratti pertinenti, lo Spiegel si è imbattuto con eleganza nei suoi hängenden Mundwinkeln, gli angoli della bocca perennemente tirati all’ingiù, la maschera della consapevolezza che, dicono ad Amburgo, non condivideva con uno Schröder, un Sarkozy, un Berlusconi, capi ai quali è politicamente sopravvissuta a lungo; bisogna aggiungere che la Thatcher, quella vera, non quella della fortunata serie, aveva una bocca bellissima priva del tutto di una vena triste e consapevole, infatti era una rivoluzionaria.

La facies merkeliana, alla Buster Keaton, corrisponde invece alle sue qualità, come sempre risvolto di qualche effimero difetto. Se ne è sempre fottuta dello spirito del tempo, ha preferito decisamente padroneggiare quello lungo che le è toccato a Berlino, e resterà per sempre il simbolo di successo del centrismo politico. Paola Peduzzi qui ha preso in giro con stile la questione del suo femminismo, che c’era e non c’era e se c’era era ben dissimulato (“ragazza e camerata” è la definizione di genere neutro, identità di genere, che più le si addice). Non avrà riformato e trasformato a fondo la Germania, cosa alla quale non deve avere mai nemmeno pensato, ma l’ha guidata in Europa e con l’Europa immergendosi nella scaltrezza negoziale, nella gestione competente e ammirevole, nell’irruenza dei suoi principi e nella capacità di tradirli al momento opportuno. Senza quella posa di triste attesa e inattuale degli eventi, che è connaturale a un potere esorbitante che non si vuole far riconoscere per tale, non avrebbe potuto affrontare la crisi finanziaria a due, tre anni dal suo insediamento; le bizze politiche e contabili che rischiavano di espellere la Grecia antica e nuova dall’Unione. L’espansionismo e il bullismo di Putin; la crisi dei migranti; le paturnie antiatlantiche dell’Arancione americano; l’angoscia verdastra e antinucleare dell’opinione tedesca dopo Fukushima; la pandemia e la svolta del debito comune degli europei per la ricostruzione.

  

In epoca di femminicidio, qualunque cosa il termine giornalistico significhi, Angela Merkel è stata una serial killer di maschi e maschietti. Tradì Kohl al momento giusto, perché senza un tradimento non c’è politica che tenga. Sottrasse la candidatura al bavarese Stoiber dopo aver liquidato il solito Merz; nel 2005 si liberò di Schröder, un uomo intelligente e pieno di fascino che da anni se la cava a San Pietroburgo in un impiego nel giro di Putin; nel 2009 schiacciò Steinmeier che ora è il presidente della Repubblica; lo stesso accadde nel 2013 con Peer Steinbrück e con Martin Schulz, il leggendario kapò evocato da Berlusconi a Strasburgo, nel 2017. Una strage che vale sedici anni di potere femminile, tutti piuttosto ben spesi come spesso succede alle signore.

In sedici anni la Germania è cambiata più di quanto non sembri. La prospera mortificazione di una cancelliera che non ostenta alcunché, passa col marito brevi vacanze commoventi a Ischia, maneggia tutto ciò che tocca con noiosa e persistente acutezza di giudizio, non parla mai a schiovere, ha definito una bonaria sovrintendenza e d’acciaio sulla metamorfosi delle diversità e sulla liberalizzazione dell’io comune. Il prossimo governo sarà probabilmente a tre, sorpresa, e altrettanto probabilmente, nonostante la quota forte di indecisi e il rimpianto generale per la Mutti, sarà guidato dal socialdemocratico Scholz, con la sua faccia simpatica e il programma non-si-sa-bene. Angela farà quello che vuole, e a noi toccherà fare quello che possiamo con la sola consolazione del merkelianissimo, e pensare che lei non l’avrebbe mai detto, whatever it takes.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.