L'Iran non ha più voglia di negoziare sul nucleare, un rapporto spiega perché

Daniele Raineri

Fra un mese ci sarà abbastanza uranio per un'arma nucleare. Il nuovo governo di Raisi è vago sulla ripresa dei negoziati a Vienna, ma l'arricchimento dell'uranio è molto avanti

I negoziati con l’Iran per un nuovo accordo sul nucleare sono diventati molto problematici, pur sotto un velo di ipocrisia, per il semplice fatto che sono fermi da giugno e che intanto l’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran prosegue. In teoria la trattativa era già a buon punto e il fatto che l’Iran stesse per rientrare nell’accordo, che era stato rotto dall’Amministrazione Trump nel 2018, era dato per scontato. Poi a giugno il governo di Ebrahim Raisi aveva preso il posto di quello di Hassan Rohani e i negoziati di Vienna erano stati messi in pausa in attesa di ricominciare con i nuovi delegati. La visione convenzionale delle cose sostiene che anche il governo di Raisi è molto interessato a rinnovare l’accordo sul nucleare perché così può sbarazzarsi di pesantissime sanzioni internazionali e risollevarsi dalla crisi economica che attanaglia il paese. Ma più il tempo passa e più diventa chiaro che gli iraniani stanno facendo quello che in gergo calcistico sarebbe definita “melina”: perdono tempo perché sono in vantaggio. 

I negoziati con l’Iran riguardano la velocità di arricchimento dell’uranio, perché l’uranio arricchito oltre una certa soglia può essere usato per produrre una bomba nucleare. Per questo motivo lo scopo dei negoziatori occidentali quando sono al tavolo con gli iraniani è ridurre la velocità di arricchimento – o ancora meglio ottenere una sospensione – e offrire in cambio un premio economico, la riduzione delle sanzioni internazionali che paralizzano gli scambi commerciali dell’Iran. Il problema è che mentre i negoziati sono fermi da mesi l’arricchimento dell’uranio accelera. Mercoledì è uscito un rapporto dell’Institute for Science and International Security, un’istituzione no profit e al di sopra delle parti dedicata allo studio scientifico della proliferazione delle armi nucleari, che spiega i recenti progressi del programma nucleare dell’Iran in diversi settori e fissa in un mese il tempo del cosiddetto breakout, che è la produzione di abbastanza uranio arricchito per produrre un’arma nucleare. Il rapporto osserva correttamente che non basta avere l’uranio arricchito per avere una bomba atomica, perché c’è da costruire la bomba e da trovare un metodo per farla arrivare sul bersaglio altrimenti è inutile. Ma la sintesi è che nel giro di un mese l’Iran potrebbe avere abbastanza uranio arricchito per entrare nel numero dei paesi che hanno armi nucleari. Dal punto di vista tecnico, sostiene il rapporto, l’Iran è più avanti adesso rispetto a quando fece l’accordo sul nucleare con l’Amministrazione Obama nel luglio 2015. 

 

Questa settimana all'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si tiene ogni settembre a New York il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha rassicurato i partner europei, a cominciare dal ministro degli Esteri dell’Irlanda (che presiede il Consiglio di sicurezza), Simon Coveney, sull’intenzione di riprendere i negoziati. Il ministro irlandese, che pure ha parlato dell’ “intenzione chiara” degli iraniani di tornare a Vienna non ha saputo dire una data ed è rimasto sul vago. “Settimane”, ha riferito. 

 

Si capisce meglio allora perché due giorni fa il sito americano Axios ha rivelato con uno scoop che la settimana scorsa israeliani e americani hanno tenuto un incontro segreto per discutere cosa fare se gli iraniani non si ripresentano ai negoziati. La considerano una possibilità reale. Il consigliere per la Sicurezza nazionale israeliano, Eyal Hulata, ha chiesto – in modo pressante – al suo omologo americano, Jake Sullivan, di andare avanti con un piano B, visti lo stallo dei negoziati e l’accelerazione del programma nucleare iraniano. L’Amministrazione Biden ha promesso nuove sanzioni se i negoziati di Vienna non ripartono. Nel luglio 2020 e nell’aprile di quest’anno due sabotaggi israeliani hanno rallentato molto le centrifughe dell’Iran che arricchiscono l’uranio, ma queste operazioni non sono state sufficienti. 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)