Joe Biden, presidente degli Statu Uniti (Ansa)

evitare il “momento Carter”

Biden ha avuto fretta, ora faccia come i grandi presidenti

Giuliano Ferrara

Restauri l’autorevolezza della politica forte di una visione. Faccia il contrario dei suoi due predecessori. Chi gli consiglia di badare ai sondaggi e al nation building vuole il male dell’America 
 

In molti osservano che a Joe Biden potrebbe arrivare un “momento Carter”, una verticale perdita di credibilità politica. Basta che un distaccamento talebano attacchi in un modo o nell’altro cittadini e funzionari americani in ritirata, magari con presa d’ostaggi come avvenne a Teheran nel 1979. Per il resto, si rileva che i sondaggi di popolarità personale del presidente erano già discendenti prima della rotta di Kabul e che la questione afghana, diciamo così, non è tra le priorità del popolo americano, il quale preferirebbe concentrarsi sul nation building interno (pandemia, economia). D’accordo, niente da obiettare. Il vecchio politico sperimentato, con il suo discorso sulla catastrofe inevitabile, si è messo sulla scia di Trump e di Pompeo, autori di accordi che pure ha detto di aver subìto, una trappola alla quale non c’erano più alternative, e ha scaricato W. e perfino Obama, lui che era contrario all’inutile e intermittente surge nelle truppe in campo, e a quanto si dice anche allo sforzo di catturare Bin Laden.

 

A meno di possibili eventi che nessuno può augurarsi, l’uscita dalla guerra afghana, persino in quel modo, non esigerà da lui un prezzo politico e d’opinione. Questo però è un giudizio di breve termine. I democratici americani dovrebbero saperlo, loro che con Truman si accollarono integralmente il nuovo ordine mondiale seguito alla guerra contro Hitler, e con Johnson, sapendo che avrebbero perso il voto del sud per generazioni, ordinarono la desegregazione dei neri, realizzandola con la forza. Ci sono presidenti che passano in cavalleria con libri, album fotografici, buone recensioni, idoleggiamenti personali al limite del culto della personalità, come i Kennedy e gli Obama, e presidenti che contano negli annali della storia tacitiana. Ci sono funambolici portavoce di un’epoca, e poi ci sono uomini di stato e di Amministrazione, tra i quali, per la parte repubblicana, si annoverano il Reagan che disse a Gorbaciov di abbattere il Muro e il Nixon che eliminò il golden standard, fece la strategica apertura alla Cina e mise fine alla guerra in Vietnam: tutti esiti controversi, in qualche caso altrettanto caotici e debilitanti della fuga dal nuovo Emirato talebano, ma programmati e costruiti con una visione, una caratura politica del tutto assente nella presente luttuosa e vile circostanza.


Seguire l’opinione pubblica può essere redditizio, ma alla lunga ha qualcosa di mostruosamente estraneo alla lucida capacità di guidare l’opinione pubblica, costruirla, magari con i fatti e con i social oggi, come con i fatti e i discorsi al caminetto di Roosevelt ieri. Gli ultimi presidenti eletti per ragioni schiettamente politiche, da un blocco elettorale sociale e istituzionale serio, nel ciclo recente della politica americana furono Bill Clinton e George W. Bush. Con Obama e Trump si è passati, nel primo caso, alla mistica della speranza, all’immagine personale dell’inclusività e della buona diversità, il grande “yes, we can” e “yes, we care” che tutti conoscono; nel secondo caso si è finiti nel burrone della demagogia populista, nazionalista, isolazionista e nel culto bestiale di un capo erratico e narcisista, la realizzazione piena di un incubo gangsteristico che la saggezza del nuovo turno elettorale, con Biden, ha dissipato dopo un solo mandato. I danni all’amministrazione e alla sua stabile capacità di governo sono ingenti, visto il primo vero passaggio del dopo Trump.

 

Ora, per non risultare un presidente minore, Biden dovrebbe, se sia in tempo non lo sappiamo, restaurare l’autorevolezza della politica che guida l’opinione a scapito della volubile leggerezza della politica che l’opinione la segue. Per ora ha assecondato la fretta implicita nei maledetti accordi firmati da Mike Pompeo che hanno condotto al disastro, il via a tutti i costi, e si sta vedendo che costi abnormi per il mondo intero (quelli che dicono saccenti che il medio oriente non ha più peso strategico non sanno bene di che cosa parlino, non hanno mai visto sulla cartina geografica il Pakistan e l’Iran). I nostri più audaci commentatori invece gli consigliano di fare come il predecessore, incassare Kabul come in un tweet, consultare il prossimo poll, e passare ad altro. Auguri.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.