Il nuovo presidente iraniano eletto Ebrahim Raisi (foto Ap)

La dimestichezza con Hezbollah & Co. del leader iraniano Raisi

Tatiana Boutourline

Non c’è niente di nuovo nelle prime dichiarazioni del presidente iraniano eletto, che ha una visione del mondo molto simile a quella della Guida suprema

Alla sua prima conferenza stampa da presidente eletto, Ebrahim Raisi non ha detto una parola che non avrebbe potuto pronunciare la Guida suprema Ali Khamenei. “Il mondo deve sapere che la politica estera del nostro governo non inizierà con l’accordo nucleare e non si limiterà a esso”, ha detto alla stampa internazionale l’apprendista di Khamenei, rigido e più che mai severo, senza un accenno di sorriso a indicare che è l’uomo del momento. Ha più microfoni davanti che voti nelle urne elettorali, era la battuta che girava tra i giornalisti iraniani su Telegram, ma c’era un clima mesto nella sala mentre la Cnn chiedeva a Raisi se avrebbe preso in considerazione l’idea di incontrare il presidente americano Joe Biden una volta eliminate le sanzioni, e lui replicava con un “no” che non avrebbe potuto essere più secco. L’esperienza dell’Iran con il Joint comprehensive plan of action, l’accordo nucleare, non è stata buona, ha spiegato Raisi elencando richieste, minacce e lagnanze di Teheran. Sono stati gli americani a tradire il deal, le sanzioni devono essere rimosse in modo verificabile, non rimarremo agganciati a colloqui che non portano risultati; le nostre alleanze regionali e il programma missilistico non sono negoziabili. 

 

Per cui alla fine della conferenza stampa l’impressione predominante, suffragata da una serie febbrile di annunci da parte del ministero degli Esteri di Teheran ancora targata Rohani, l’attuale presidente, era un po’ quella del “cogliete l’attimo”, firmate quel che dovete firmare (mancano solo le firme nelle capitali, ha ripetuto il plenipotenziario iraniano a Vienna, Abbad Arachci) prima che si insedi Raisi.  Non c’è niente di nuovo nelle dichiarazioni del presidente eletto e la politica nucleare e strategica di Teheran notoriamente non la decide certo lui, ma il pupillo di Khamenei dovrà avventurarsi per un sentiero stretto, marcato da un lato dall’esigenza della discontinuità con Rohani e dall’altro dal bisogno di assicurare una ripresa economica difficile da immaginare senza il congelamento delle sanzioni. Se il deal fosse firmato entro agosto, Raisi potrebbe beneficiare dei risultati del team Rohani e allo stesso tempo rivendicare, senza paura di smentita, che la sua amministrazione avrebbe ottenuto di meglio. 

Muovendo lo sguardo oltre il dossier nucleare, la visione del mondo di Raisi è molto simile a quella di Khamenei.  Pressoché digiuno di esperienze internazionali, l’apprendistato diplomatico di Raisi si è svolto a partire dal 2016 e tutto nell’alveo dell’“asse della resistenza”, dopo l’inizio del suo incarico come custode del “sacro recinto” di Mashad. L’Astan Quds Razavi (Aqr), la fondazione che vigila sul santuario dell’imam Reza, è un impero economico da 20 miliardi di dollari che gestisce interessi che vanno dall’agricoltura, al settore energetico alle costruzioni e che, quando occorre, non disdegna la collaborazione con Hezbollah e con la pletora di milizie che più o meno convintamente fanno capo a Teheran. Nei suoi anni al vertice dell’Aqr (2016-2019), Raisi ha sostenuto e intensificato queste relazioni. Nel 2016, per festeggiare i suoi primi 200 giorni alla guida del santuario, ha dedicato una giornata alla “resistenza islamica” aprendo i lavori con  un messaggio del segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah.  La conoscenza tra i due si è approfondita nel gennaio del 2018 quando Raisi si è recato in Libano per incontrarlo. Alla fine del colloquio, il nuovo presidente iraniano ha magnificato la profonda consonanza “ideologica e sentimentale” tra Nasrallah e l’allora leader di al Quds, Qassem Suleimani. E in quell’occasione Raisi ha accantonato il proverbiale riserbo per farsi immortalare insieme ai familiari dei “martiri” di Hezbollah e in particolare con quelli del famigerato Imad Mughniyeh, numero due dell’organizzazione, coinvolto in alcune delle azioni più efferate contro obiettivi occidentali.

In un altro rendez-vous, stavolta con il capo del consiglio supremo sciita, lo sceicco Abdul Amir Qablan, Raisi si è felicitato della crescente penetrazione culturale iraniana in Libano e ha incensato la logica della guerra asimmetrica di Teheran rispolverando la più ridicola delle teorie cospirazioniste. “Il regime sionista, per via della sua natura terroristica, si augurava che lo Stato islamico costituisse un secondo centro di potere con le medesime caratteristiche terroristiche nella regione, ma il fronte della resistenza ha neutralizzato questo disegno”. 

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