Le candele di Hong Kong

Pechino vuole cancellare la memoria di Piazza Tiananmen. Ma c'è ancora chi resiste

Giulia Pompili

Dimenticare. E’ quello che per trentadue anni Hong Kong non ha mai fatto. E’ uno dei motivi per cui la leadership cinese di Xi Jinping ha deciso di usare le maniere forti,

Dimenticare. E’ quello che per trentadue anni Hong Kong non ha mai fatto. E’ uno dei motivi per cui la leadership cinese di Xi Jinping ha deciso di usare le maniere forti, con l’introduzione, l’anno scorso, di una legge liberticida e spregiudicata che ha cambiato per sempre l’ex colonia inglese. Ieri era l’anniversario di Piazza Tiananmen, e per la prima volta in trentadue anni i cittadini di Hong Kong non hanno potuto celebrare la tradizionale veglia con le candele. La candela è il simbolo del ricordo di una manifestazione che Pechino vorrebbe che tutti dimenticassero: il nascere di un’opposizione, l’apparire di alcune richieste di libertà e democrazia che non sono più arrivate fin davanti al centro del potere della Repubblica popolare. E’ per questo che è così prioritario cancellare certe manifestazioni: perché nessuno ne parli.  L’Hong Kong free press, uno dei pochissimi giornali rimasti a difendere un’autonomia ormai cancellata, ha pubblicato ieri la fotografia di uno stadio vuoto, con le luci accese, e almeno duecento poliziotti a circondarlo per assicurarsi che nessuno entrasse. E’ lo stadio dove alle otto di sera, ogni 4 giugno, migliaia di persone con una candela in mano ricordavano le proteste popolari represse nel sangue da Pechino nel 1989. 


Il governo di Hong Kong ha fatto di tutto per intimorire i cittadini. La Legge sulla sicurezza consegna nelle mani dell’esecutivo un ampissimo raggio di azione. Quest’anno, in virtù di quella legge, era vietato anche solo parlare sui social network di una possibile veglia per Piazza Tiananmen, ma soprattutto era vietato accendere una candela. Voleva dire essere pericolosi indipendentisti. Ieri mattina Chow Hang Tung, 36 anni, vicepresidente della Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Democratic Movements of China, l’associazione che porta avanti il ricordo della repressione sin dal 1989, è uscita dal suo ufficio poco dopo le sette del mattino, e fuori c’erano quattro agenti di polizia ad aspettarla. L’hanno fermata e portata via perché in un messaggio del 24 maggio scorso su Facebook “promuoveva un’assemblea non autorizzata”. Dopo molte ore, tramite il suo avvocato, ha fatto sapere che se non avrebbe potuto accendere una candela, quel giorno, allora avrebbe iniziato uno sciopero della fame. 


In città sono stati mobilitati circa settemila agenti delle Forze dell’ordine per evitare che a Hong Kong si ricordasse il 4 giugno, ma i cittadini sono sempre più creativi delle regole illiberali. Moltissime persone si sono riunite nel centro dell’ex colonia inglese con in mano delle lampadine al led, altri hanno usato la torcia dello smartphone. Tre ragazzi vestiti di bianco con degli elmetti gialli in testa hanno formato in mezzo alla strada, spalla a spalla, una specie di candela umana: ci hanno provato tre volte, per tre volte dopo pochi minuti la polizia è arrivata a disperderli. Resistono, ricordano, in tutti i modi in cui possono. Anche se la situazione ormai è disperata, anche se molti di loro sono costretti a scappare per non subire un processo, per non finire in carcere. Anche la rappresentanza dell’Unione europea a Hong Kong ha riempito le sue finestre di candele. L’ambasciata britannica ha pubblicato sui social cinesi soltanto la foto di una candela, ma è stata censurata dopo venti minuti. La comunità internazionale si è accorta tardi che la mano di Pechino era ormai arrivata definitivamente su Hong Kong, ma ora vuole mandare un segnale. La candela, forse, è ancora accesa. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.