Il megafono col sorriso della Cina

Quanti si fanno abbindolare da Hua Chunying, voce e volto della disinformazione di Pechino

Giulia Pompili

Cinquantuno anni, è la direttrice del Dipartimento informazioni del ministero degli Esteri cinese. Il suo stile ironico inconfondibile. Ma anche pericoloso

Le conferenze stampa dei portavoce del ministero degli Esteri cinese sono ormai un genere letterario. Le trascrizioni, disponibili in inglese sul sito del ministero, sono una fonte inesauribile di informazioni, o meglio, di disinformazioni. Questi incontri con la stampa accreditata a Pechino si tengono con cadenza più o meno quotidiana: ogni settimana si avvicendano sul palco tre personaggi che anche l’occidente ha ormai imparato a conoscere. C’è Wang Wenbin, classe 1971, arrivato lo scorso anno al Dipartimento informazioni del ministero degli Esteri di Pechino, che è stato ambasciatore cinese in Tunisia e parla un ottimo francese. C’è Zhao Lijian, uno dei funzionari cinesi più conosciuti in occidente perché si è distinto nella nuova classe di cosiddetti “wolf warrior”, diplomatici cinesi molto più aggressivi di un tempo. Zhao, nato nel 1972, è stato uno dei primi ad aprire un account su Twitter – social bloccato in Cina – e ha lavorato per molto tempo all’ambasciata cinese in Pakistan, uno dei migliori alleati di Pechino. Sul social network, in lingua inglese, si è distinto spesso per aver condiviso con i suoi 948 mila follower diverse teorie complottiste, da “forse il virus è stato portato a Wuhan dai militari statunitensi” all’immagine falsa di un soldato australiano che  tiene il coltello al collo di un bambino afghano.

 

E infine c’è lei, Hua Chunying: 51 anni, è la direttrice del Dipartimento informazioni del ministero degli Esteri cinese, cioè il capo di  Wang e Zhao. Laureata in Inglese all’Università di Nanchino, fino al 2010 ha lavorato nella sede diplomatica cinese dell’Ue, per poi passare, nel 2012, al ministero. I capelli corti e ben pettinati, un’elegante spilla sempre appuntata sulla giacca del tailleur, foulard di classe, il sorriso beffardo sul volto: lo stile di Hua è inconfondibile, celebrato sui media cinesi e online. Ed è sempre più commentato come quello più “ironico” dai media internazionali, che quando lei dice qualcosa, per esempio dà del “clown dell’Apocalisse” all’allora segretario di stato Mike Pompeo, scrivono: “La Cina accusa”. Perché la potenza di Hua è questa: può parlare a nome della seconda economia del mondo. Naturalmente tutte le risposte, durante le conferenze stampa al ministero, sono preparate, ed è vietato il cosiddetto follow up, cioè incalzare nella risposta nel caso in cui il portavoce stia evitando una domanda. Spesso quello che succede nella sala della conferenza stampa viene tagliato nella trascrizione finale, dove vengono messe tutte le cose di interesse propagandistico. Ma lei è il volto gentile e ironico, che secondo la stampa cinese, sarebbe amata perfino dai giapponesi per la sua eleganza. 

 

Quello di  Hua Chunying, però, è il volto più spaventoso della disinformazione cinese, che ha raggiunto ormai livelli impensabili soltanto dieci anni fa. Hua offre ogni giorno ai giornalisti in sala stampa la visione del mondo con “caratteristiche cinesi”, e pazienza se è falso: a forza di dirlo, a qualcuno verrà il dubbio che sia vero. Per esempio, quando su Twitter scrive che “la Cina è un paese che sostiene e promuove sempre la democrazia popolare”, oppure quando  pubblica un video falso sugli italiani che cantano “Grazie, Cina!” mentre l’inno nazionale cinese viene suonato dai balconi, durante le prime fasi del lockdown nel nostro paese. Appassionata di tennis, la Hua sarebbe sparita per un lungo periodo nel 2018 per motivi mai chiariti – forse per un’indagine su di lei e su alcuni milioni di banconote in dollari americani nascoste. Ma al di là della  vita privata, è da Hua Chunying  che bisogna partire per capire l’influenza che la versione cinese di ogni accadimento è ormai parte integrante del sistema d’informazione internazionale. 

 

Oggi la Federazione internazionale dei giornalisti pubblicherà il report sull’influenza cinese sui media internazionali nell’anno della pandemia, il 2020. L’anticipazione di questo lavoro, pubblicata da Ben Smith sul New York Times, offre un ritratto poco lusinghiero dei media internazionali. “Non tutti i giornalisti trovano il crescente interesse della Cina per i media globali così pericoloso”, scrive Smith. “Il vicedirettore dell’agenzia italiana Ansa, Stefano Polli, dice di aver visto la Cina utilizzare sempre più i media per ‘avere maggiore influenza nel nuovo equilibrio geopolitico’. Ma difende il contratto della sua agenzia che traduce e distribuisce l’agenzia statale cinese Xinhua come un normale accordo commerciale”. La Xinhua, attraverso Ansa, sin dal 2019 pubblica regolarmente le più importanti dichiarazioni di Hua Chunying in lingua italiana, con la massima diffusione possibile. Ma molti altri media italiani hanno stretto rapporti commerciali con i media cinesi, come già raccontato dal Foglio. Accordi che però, purtroppo, non sono mai soltanto commerciali, ma hanno un obiettivo politico. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.