Space Race

Tutto sul razzo cinese, ovvero: pure nello spazio la Cina fa come le pare

E' andato tutto bene, il punto è che poteva andare male. Le richieste di "responsabilità e trasparenza" da parte della comunità internazionale e le reazioni di Pechino, sempre uguali

Giulia Pompili

Un razzo in caduta libera verso la terra, un po’ come un virus, è un problema scientifico. Poi ci si mette di mezzo la politica

Un razzo in caduta libera verso la terra, un po’ come un virus, è un problema scientifico. Ma quando di mezzo ci si mette la politica tutto diventa molto più complicato. Perché se un paese accusa un altro di negligenza, di superficialità, e quindi di scarso senso di responsabilità, l’altro risponde mettendo di mezzo la politica. I frammenti del lanciatore spaziale cinese Lunga Marcia 5-b sono caduti nell’Oceano indiano quando in Italia erano le prime ore di domenica. E’ andato tutto bene, il punto è che poteva andare molto male. 

 

Il 30 aprile scorso l’Agenzia spaziale cinese ha mandato in orbita il primo modulo della prima stazione spaziale orbitante made in China: un enorme successo per l’ambiziosissimo programma spaziale cinese, e  naturalmente uno spot della propaganda notevole, che però è stato macchiato, forse, da un errore, che ovviamente la Cina nega. Per lanciare nello spazio questi colossi dell’ingegneria c’è bisogno di razzi molto potenti. Pechino ha usato il Lunga Marcia 5-b, il suo razzo più grande, modificato proprio per portare in orbita la sua stazione spaziale. Questi razzi, che funzionano come delle fionde verso lo spazio, una volta compiuta l’operazione, di solito vengono fatti rientrare nell’atmosfera e ricadere sulla terra in modo controllato, proprio per evitare problemi di gestione dei cosiddetti rifiuti spaziali. L’orbita bassa da qualche anno è un posto particolarmente affollato. Per qualche ragione che l’Agenzia spaziale cinese non ha spiegato, il modulo centrale del razzo non ha effettuato alcuna manovra di rientro controllato sulla terra, oppure semplicemente Pechino ne ha perso il controllo. Sin dal 30 aprile scorso il modulo centrale del Lunga Marcia, 18 tonnellate per trenta metri di altezza, è diventato uno tra gli oggetti vaganti più grandi a essere attratto verso la terra. La preoccupazione di chi si occupa di questioni spaziali era proprio questa: se la maggior parte dei detriti spaziali, quando arriva a contatto con l’atmosfera, si disintegra, in questo caso il modulo del Lunga Marcia era particolarmente grosso. Essendo la terra per lo più ricoperta di acqua e con enormi territori disabitati, la percentuale di possibilità che un pezzo di detrito passasse l’atmosfera ed effettivamente colpisse un centro abitato era bassissima, ma comunque non impossibile. E’ anche per questo che sabato scorso Bill Nelson, neo amministratore della Nasa, ha diffuso un comunicato per chiedere alla Cina “più trasparenza” per quanto riguarda le sue missioni spaziali e “più responsabilità” nel condurle: “E’ chiaro che la Cina non soddisfa gli standard di responsabilità per quel che riguarda i detriti spaziali”. Fino a quel momento, Pechino aveva pressoché ignorato tutte le richieste occidentali di spiegazioni, informando il minimo indispensabile le autorità internazionali, per esempio l’Unoosa, l’agenzia dell’Onu che si occupa di spazio. Ma quando è intervenuto Nelson, la faccenda si è fatta politica.

 

Dal palco della conferenza stampa del ministero degli Esteri, la direttrice del Dipartimento informazioni, Hua Chunying, ha usato il solito appiglio della disinformazione cinese: così fanno tutti. Come se i rientri incontrollati di oggetti così grandi fossero la norma internazionale. Poi ha detto che i media occidentali usano un “doppio standard” quando si tratta di questioni simili: “Ci ricordiamo di quando uno stadio di un razzo americano cadde a marzo su una fattoria, e i media americani descrissero l’evento con espressioni romantiche”. E’ successo poche settimane fa, quando il secondo stadio del razzo di SpaceX è caduto nella proprietà privata di un uomo nello stato di Washington. Ma oltre alla responsabilità civile di eventi del genere da parte di colossi come SpaceX, Andrew Jones, giornalista di Space News che segue il programma spaziale cinese, ha spiegato su Twitter che la Cina sembra non fare alcuna differenza “tra primo e secondo stadio”, che per dimensioni e peso sono incomparabili. La Cina ha detto che tecnicamente ha “controllato” il rientro del modulo semplicemente perché sapeva dove si trovava in ogni momento del suo rientro. Insomma: si tratta di propaganda. Ed è un’occasione, per Pechino, per dire che l’America in realtà è “solo invidiosa” dei successi spaziali della Cina. Finora, Russia e Cina sono i due paesi che con i loro programmi spaziali sembrano interessarsi meno della questione della sicurezza spaziale internazionale. L’astrofisico Jonathan McDowell ha detto alla Cbs che Pechino sa benissimo come far rientrare sulla terra i suoi detriti spaziali in modo controllato, ma per qualche ragione non lo fa: “Credo per mancanza di interesse”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.